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Odontoiatra, responsabilità: “Spetta al paziente provare che le cefalee dipendono dalla protesi”

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Con la sentenza n. 1045 dello scorso 17 gennaio, la Cassazione ha negato il risarcimento dei danni domandati da una donna al proprio odontoiatra per le sintomatologie dolorose sofferte a seguito dell'installazione di una protesi, evidenziando come – sebbene i dolori fossero insorti immediatamente dopo il trattamento protesico – non si fosse individuata con certezza la causa dei dolori lamentati dall'attrice.

Si è quindi specificato che "nei giudizi di risarcimento del danno da responsabilità medica, è onere del paziente dimostrare l'esistenza del nesso causale, provando che la condotta del sanitario è stata, secondo il criterio del "più probabile che non", causa del danno, sicché, ove la stessa sia rimasta assolutamente incerta, la domanda deve essere rigettata".

Il caso sottoposto all'attenzione della Cassazione prende avvio dalla richiesta di risarcimento danni avanzata da una donna avverso un odontoiatra incaricato della rinnovazione dell'impianto protesico: la signora si lamentava perché, subito dopo l'installazione non chirurgica di una protesi provvisoria, erano insorti forti dolori insorti all'arcata superiore della bocca con conseguente cefalea.

Nel corso dell'istruttoria compiuta durante il giudizio di merito era emerso che il sanitario aveva prospettato alla paziente la necessità di sottoporsi ad intervento chirurgico, informandola compiutamente dei rischi e benefici dello stesso; tuttavia, a fronte del rifiuto della donna, egli propose un trattamento protesico non chirurgico, eseguito il quale comparve la sintomatologia dolorosa. 

 Sia il Tribunale di Venezia che Corte di Appello di Venezia condannavano il medico a risarcire alla signora il danno conseguente all'intervento odontoiatrico: i giudici, sebbene avessero escluso che vi fosse stata violazione delle "leges artis" da parte del medico nell'esecuzione della prestazione e sebbene non si fosse individuata con certezza la causa dei dolori lamentati dall'attrice, nondimeno condannavano il medico al risarcimento del danno, sul presupposto che fosse suo onere, per andare esente da responsabilità, dimostrare il proprio corretto adempimento.

Ricorreva in Cassazione il sanitario, deducendo la violazione delle norme di diritto che disciplinano l'onere probatorio nella responsabilità professionale medica: secondo la difesa del dentista, una volta che fosse stato accertato che lo stesso avesse, nel caso di specie, correttamente eseguito la terapia impiantologica, si sarebbe raggiunta la pienezza nella prova liberatoria posta a suo carico, essendo stato in grado di dimostrare di aver adempiuto correttamente alle proprie obbligazioni.

La Cassazione condivide le argomentazioni del dentista.

I Supremi Giudici riconoscono, infatti, che la sentenza impugnata ha disatteso i principi in tema di ripartizione dell'onere della prova, attribuendo l'onere della prova ad una parte diversa da quella che ne era onerata secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni.

In particolare, nei giudizi risarcitori da responsabilità medica si delinea un duplice ciclo causale, l'uno relativo all'evento dannoso, a monte, l'altro relativo all'impossibilità di adempiere, a valle.

Il primo ciclo, relativo all'evento dannoso, deve essere provato dal creditore/danneggiato, sul quale incombe anche l'onere di provare il nesso di causalità fra l'insorgenza della patologia e la condotta del sanitario (fatto costitutivo del diritto); il secondo ciclo, relativo alla possibilità di adempiere, deve essere provato dal debitore/danneggiante, dimostrando che una causa imprevedibile ed inevitabile ha reso impossibile la prestazione (fatto estintivo del diritto).

Ne consegue che, se al termine dell'istruttoria resti incerti la causa del danno, le conseguenze sfavorevoli in termini di onere della prova gravano sull'attore; diversamente, qualora non si provi l'impossibilità di adempiere, a soccombere sarà il convenuto.

Gli Ermellini specificano, inoltre, che il ciclo causale relativo alla possibilità di adempiere acquista rilievo solo laddove il danneggiato abbia dimostrato il nesso causale fra evento dannoso e condotta del debitore: solo se questa prova è stata raggiunta, sorge per il medico l'onere di provare che l'inadempimento è stato determinato da causa non imputabile.

Nel caso di specie, nonostante non si fosse raggiunta certezza sulle possibili cause della situazione di sofferenza, nondimeno i Giudici hanno ritenuto che doveva essere onere del medico, per andare esente da responsabilità, dimostrare il proprio corretto adempimento e dunque la non imputabilità di quanto accaduto.

Sotto tale aspetto, gli Ermellini evidenziano come la sentenza impugnata sia viziata perché, non essendo stata raggiunta prova a carico dell'attore del nesso causale tra la sofferenza lamentata dalla paziente e l'intervento praticato dall'odontoiatra, doveva concludersi per il rigetto della domanda risarcitoria.

La Corte accoglie quindi il ricorso: cassa la sentenza impugnata e, non essendo necessari ulteriori accertamenti nel merito, rigetta la domanda proposta dalla paziente, condannandola al pagamento delle spese di lite. 

 

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