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Con la pronuncia n. 6865/2025, la I sezione della Corte di Cassazione, chiamata a pronunciarsi in tema di sovraindebitamento, ha escluso che le spese dell'organismo di composizione della crisi rientrino nelle "uscite "di carattere generale" della procedura sostenute nell'interesse di tutti i creditori, con riparto, in via proporzionale, sul ricavato dei beni oggetto di ipoteca o pegno.
Si è, difatti, specificato che "il procedimento di liquidazione del patrimonio del debitore è una procedura volontaria, che si apre a domanda del debitore, cosicché la nomina di un gestore della crisi avviene su sua iniziativa e nel suo interesse e non in quello di tutti i creditori, che non hanno alcuno specifico tornaconto all'avvio della procedura di liquidazione del patrimonio piuttosto che a procedere individualmente, in via esecutiva, nei confronti del proprio debitore.
Le spese del gestore della crisi non costituiscono, perciò, uscite di carattere generale della procedura sostenute nell'interesse di tutti i creditori e, di conseguenza, non possono essere ripartite, in via proporzionale, sul ricavato dei beni oggetto di ipoteca o pegno".
Nel caso sottoposto all'attenzione della Corte, l'associazione Organismo di Composizione della Crisi da sovraindebitamento dei Commercialisti di Forlì, Cesena e Rimini (in seguito, OCC Romagna) nominava un gestore della crisi affinché questi potesse presentare una domanda di liquidazione del patrimonio di un debitore ai sensi dell'art. 14 ter della legge 3/2012.
Il giudice investito della procedura ammetteva il credito di OCC Romagna, pari al 20% del compenso liquidato al gestore della crisi, in prededuzione e con il privilegio di cui all'art. 2751 bis n. 2 c.c.
L' OCC Romagna presentava reclamo, al fine di veder applicata al proprio credito la regola di cui all'art. 111 ter legge fallimentare.
Il Tribunale di Rimini rigettava il reclamo sottolineando come, pur non essendovi alcun dubbio sul fatto che il credito vantato fosse prededucibile, dato che era sorto in funzione della procedura di liquidazione, nondimeno non ogni credito prededucibile in seno alla procedura fallimentare rientrava nell'ambito di operatività dell'art. 111 ter della legge fallimentare, il cui tenore, facendo riferimento alla necessaria annotazione delle "entrate" e delle "uscite", induceva a ritenere che non fossero sussumibili nei conti speciali previsti da tale norma i crediti professionali sorti prima dell'apertura della procedura fallimentare, che non costituivano spese maturate dalla procedura e in costanza di essa.
OCC Romagna proponeva ricorso per la cassazione di tale decreto, assumendo la nullità del provvedimento impugnato per violazione e falsa applicazione degli articoli 14-octies, 14 nonies e 14 duodecies della legge 3/2012: secondo il ricorrente, il coinvolgimento del gestore della crisi nominato dall'OCC sarebbe necessario per accedere alla procedura di liquidazione ex art. 14 della legge 3/2012 e il suo ruolo sarebbe assimilabile a quello svolto dal commissario giudiziale in ambito concordatario, cosicché il suo compenso non potrebbe che essere qualificato come una spesa della procedura.
La Cassazione non condivide la censura rilevata.
Gli Ermellini ricordano che l'art. 14-duodecies L. 3/2012 stabilisce, al suo secondo comma, che "i crediti sorti in occasione o in funzione della liquidazione o di uno dei procedimenti di cui alla precedente sezione sono soddisfatti con preferenza rispetto agli altri, con esclusione di quanto ricavato dalla liquidazione dei beni oggetto di pegno ed ipoteca per la parte destinata ai creditori garantiti".
Gli Ermellini evidenziano la necessità di verificare se le spese dell'organismo di composizione della crisi rientrino nelle "uscite "di carattere generale" della procedura sostenute nell'interesse di tutti i creditori, che sono imputabili in una quota proporzionale al ricavato dalla liquidazione dei beni oggetto di pegno ed ipoteca.
Sul punto, rilevano come, sebbene la relazione particolareggiata dell'OCC costituisce un documento indispensabile da allegare alla richiesta di liquidazione dei beni, tuttavia, il procedimento di liquidazione del patrimonio del debitore è una procedura volontaria, che si apre a domanda del debitore, cosicché la nomina di un gestore della crisi avviene su sua iniziativa e nel suo interesse e non in quello di tutti i creditori, che non hanno alcuno specifico tornaconto all'avvio della procedura di liquidazione del patrimonio piuttosto che a procedere individualmente, in via esecutiva, nei confronti del proprio debitore.
Le spese del gestore della crisi non costituiscono, perciò, uscite di carattere generale della procedura sostenute nell'interesse di tutti i creditori e, di conseguenza, non possono essere ripartite, in via proporzionale, sul ricavato dei beni oggetto di ipoteca o pegno.
In conclusione, la Cassazione rigetta il ricorso.
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Esercito la professione forense nel Foro di Bari, occupandomi prevalentemente di diritto civile ( responsabilità contrattuale e extracontrattuale, responsabilità professionale e diritto dei consumatori); fornisco consulenza specialistica anche in materia penale, con applicazione nelle strategie difensive della formula BARD.