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Controlli sui lavoratori: pedinamento e digital forensics consentiti solo se si prova la preesistenza di un fondato sospetto.

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In applicazione del principio di vicinanza della prova, non può dubitarsi che, in tema di controlli difensivi in senso stretto sui lavoratori, incomba sul datore di lavoro l'onere di allegare, prima, e provare, poi, le specifiche circostanze che lo hanno indotto ad attivare il controllo tecnologico ex post, considerato che solo il "fondato sospetto" consente al datore di lavoro di porre la sua azione al di fuori del perimetro di applicazione diretta dell'art. 4 S.L. e tenuto conto altresì del più generale criterio legale ex art. 5 l. n. 604 del 1966 che grava la parte datoriale dell'onere di provare il complesso degli elementi che giustificano il licenziamento. Infatti, se, da un lato, sarebbe lesivo del diritto di azione e di difesa del lavoratore, addossargli un gravoso onere rispetto a fatti (quali quelli che sono alla base del sospetto) estranei alla sua sfera di conoscenza, dall'altro, il datore di lavoro è agevolmente posto nella condizione di identificarli, trattandosi di circostanze di cui ha diretta conoscenza ed ha dunque la possibilità di acquisire la relativa prova.

Cassazione, sez. lav., sentenza n. 18168/2023. 



I controlli a distanza in genere.

Secondo quanto previsto dal nuovo testo dell'articolo 4 dello Statuto dei lavoratori introdotto dall'art. 23 del D.Lgs. n. 151/2015, poi integrato dal D.Lgs. n. 185/2016, gli impianti audiovisivi e gli altri strumenti dai quali derivi anche la possibilità di controllo a distanza dell'attività dei lavoratori possono essere impiegati esclusivamente per esigenze organizzative e produttive, per la sicurezza del lavoro e per la tutela del patrimonio aziendale e possono essere installati previo accordo collettivo stipulato dalla rappresentanza sindacale unitaria o dalle rappresentanze sindacali aziendali, o, nel caso di imprese con unità produttive ubicate in diverse province della stessa regione ovvero in più regioni, dalle associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale o, in mancanza di accordi di qualunque genere, previa autorizzazione della sede territoriale dell'Ispettorato nazionale del lavoro. Le informazioni raccolte sono utilizzabili a tutti i fini connessi al rapporto di lavoro a condizione che sia data al lavoratore adeguata informazione delle modalità d'uso degli strumenti e di effettuazione dei controlli e nel rispetto di quanto disposto dal decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196.

Dunque, a seguito delle modifiche apportate all'art. 4 dello Statuto dei Lavoratori dal Jobs Act, il datore di lavoro è autorizzato ad effettuare controlli a distanza, ma solo ed esclusivamente per soddisfare esigenze di carattere organizzativo, produttivo, di sicurezza del lavoro e di tutela del patrimonio aziendale.

La giurisprudenza di legittimità ritiene che la portata applicativa dell'art. 4 dello Statuto dei lavoratori sia limitata ai soli controlli a difesa del patrimonio, ossia a quei controlli che riguardano tutti i lavoratori (o gruppi di lavoratori) nello svolgimento della loro prestazione di lavoro che li pone in contatto con tale patrimonio, controlli che, dunque, dovranno necessariamente essere realizzati nel rispetto delle previsioni dell'art. 4 novellato, in tutti i suoi aspetti.

Dalla categoria dei controlli a difesa del patrimonio, la Cassazione suole distinguere quei controlli che, anche se effettuati con l'ausilio di strumenti tecnologici, non solo sono rivolti a singoli dipendenti (e non ad una moltitudine di essi), ma non hanno nemmeno ad oggetto la normale attività lavorativa e, per tali motivi, si pongono al di fuori della portata applicativa del citato articolo 4: si tratta dei  c.d. controlli difensivi in senso stretto.

Con la sentenza n. 18168/2023, la sezione lavoro della Suprema Corte di Cassazione, non solo ha chiarito quali sono i presupposti di legittimità dei controlli difensivi in senso stretto, ma ha altresì specificato che l'onere di provare la sussistenza di tali presupposti grava sul datore di lavoro.

Il caso.

La decisione trae origine da un ricorso di una banca volto ad ottenere la cassazione di una sentenza che aveva annullato il licenziamento disciplinare intimato ad un dipendente per aver intrattenuto rapporti e contatti con realtà imprenditoriali concorrenti. 

I fatti posti a sostegno del provvedimento espulsivo erano emersi a seguito di pedinamenti e controlli "a tappeto" sulla casella di posta elettronica aziendale del dipendente, controlli che il datore di lavoro aveva giustificato in riferimento a non meglio specificate "segnalazioni" di cui però agli atti non risultava traccia.

Secondo la corte territoriale il controllo esercitato sul lavoratore doveva ritenersi sproporzionato e arbitrario perché:

- basato su "meri sospetti" derivanti da non meglio identificate segnalazioni,

- rivolto indistintamente a tutte le comunicazioni presenti nel pc aziendale e senza limiti di tempo,

- attuato senza aver preventivamente informato il lavoratore della possibilità che le comunicazioni che effettuava sul pc aziendale avrebbero potuto essere monitorate.

La decisione della Corte.

La Suprema Corte, nel rigettare il ricorso della banca, ha ribadito il principio secondo il quale sono consentiti i controlli anche tecnologici finalizzati alla tutela di beni estranei al rapporto di lavoro o ad evitare comportamenti illeciti, in presenza di un fondato sospetto circa la commissione di un illecito, purché sia assicurato un corretto bilanciamento tra le esigenze di protezione di interessi e beni aziendali, correlate alla libertà di iniziativa economica, rispetto alle imprescindibili tutele della dignità e della riservatezza del lavoratore, sempre che il controllo riguardi dati acquisiti successivamente all'insorgere del sospetto.

Solo tale "fondato sospetto", prosegue la Corte, consente infatti al datore di lavoro di porre la sua azione al di fuori del perimetro di applicazione diretta dell'art. 4 dello Statuto dei Lavoratori.

A tal fine, conclude la sentenza, è dunque indispensabile che il datore di lavoro, in applicazione del generale criterio legale sancito nell'art. 5 della Legge n. 604 del 1966, fornisca la prova della sussistenza di tutti gli elementi che giustificano il licenziamento e, dunque, provi la ricorrenza non solo del fondato sospetto, ma anche dell'anteriorità di tale presupposto rispetto ai controlli. 

 

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