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Caso Cappato: quando l’aiuto al suicidio non è reato

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Con la sentenza n. 8 depositata lo scorso 30 gennaio, la Corte d'Assise di Milano ha assolto Marco Cappato dall'imputazione per i reati di istigazione e agevolazione al suicidio contestategli per la morte di Dj Fabo, così recependo il dettato della Corte Costituzionale che, con sentenza n. 242/2019, aveva già espressamente affermato di ritenere non consentito applicare la disciplina di cui all'art. 580 c.p. nel caso in esame, per le sue peculiari caratteristiche e per la rilevanza dei valori da esso coinvolti.

I fatti sono noti alla cronaca: Marco Cappato veniva accusato del reato di induzione e di aiuto al suicidio di cui all'art. 580 c.p., per aver rafforzato il proposito suicidario di dj Fabo, accompagnandolo in Svizzera presso le strutture dell'Associazione Dignitas, dove si era suicidato iniettandosi un farmaco letale.

Apertosi il procedimento penale, le parti chiedevano l'assoluzione dell'imputato dal reato contestato con la formula perché il fatto non sussiste; la Corte sollevava questione di legittimità costituzionale dell'art 580 c.p. "nella parte in cui incrimina le condotte di aiuto al suicidio in alternativa alle condotte di istigazione e, quindi, a prescindere dal loro contributo alla determinazione o al rafforzamento del proposito di suicidio".

Con sentenza del 22 novembre 2019 la Corte Costituzionale, pronunciandosi sulla questione, ha evidenziato in quali casi le condotte di aiuto al suicidio non sono punibili.

In particolare, non sono punibili quelle condotte volte ad agevolare l'esecuzione del proposito di suicidio, già autonomamente e liberamente formatosi, di una persona che si trovi nelle seguenti condizioni:

- sia affetta da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche o psicologiche, che trova assolutamente intollerabili;

- sia tenuta in vita a mezzo di trattamenti di sostegno vitale;

-sia capace di prendere decisioni libere e consapevoli.

In relazione alle condotte intervenute prima della sua pronuncia, la Corte Costituzionale ha affermato la non punibilità dell'aiuto al suicidio nel caso in cui l'agevolazione sia stata prestata con modalità anche diverse da quelle indicate, ma idonee, comunque sia, a offrire garanzie sostanzialmente equivalenti, richiedendo, in particolare, che:

-le condizioni dell'aspirante suicida formino oggetto di verifica in ambito medico;

-la volontà dell'interessato sia stata manifestata in modo chiaro ed univoco, compatibilmente con quanto consentito dalle sue condizioni;

-il paziente sia stato informato in ordine alla sua condizione ed alle possibili soluzioni alternative, segnatamente con riguardo all'accesso alle cure palliative ed, eventualmente, alla sedazione profonda continua. 

Delineato dalla Consulta il quadro di riferimento, la Corte di Assise di Milano procede a valutare se, nel caso sottoposto alla propria attenzione, siano state rispettate le condizioni e le procedure che rendono lecita la condotta di aiuto al suicidio.

In priimis, la Corte esclude che Cappato abbia rafforzato il proposito di dj Fabo di porre fine alla sua vita.

Cappato, infatti, si era limitato ad aiutare dj Fabo a recarsi in Svizzera, non aveva né determinato, né rafforzato la sua decisione in proposito: come emerso dalle dichiarazioni della fidanzata, della mamma, degli amici e del medico curante di Fabo, la decisione di quest'ultimo di rivolgersi all'associazione svizzera era intervenuta autonomamente, prima dei contatti con Cappato, ed era stata dettata dalla sua ferma volontà di non voler continuare nelle sue condizioni di sofferenza, essendo stata accertata l'impossibilità di cura della sua malattia. Così, nonostante i numerosi tentativi dei suoi cari di dissuaderlo, Fabo – nel pieno esercizio delle sue facoltà mentali e della sua capacità di intendere e di volere, come accertate e attestate dai medici – contattava la Dignitas in Svizzera, per avviare le pratiche volte al suicidio assistito e solo successivamente entrava in contatto diretto con Cappato, che si limitava ad accompagnare Fabo presso la clinica svizzera.

Accertato come la condotta dell'imputato non avesse in alcun modo inciso sul processo deliberativo di Fabo, con ogni consequenziale assoluzione dall'imputazione di averne rafforzato il proposito di suicidio, la Corte analizza se vi sono gli estremi per parlare di agevolazione al suicidio, posto che Cappato, nel dare attuazione alla volontà di Fabo, aveva reso possibile il realizzarsi del suicidio.

A tal fine occorre analizzare la vicenda sulla scorta delle indicazioni fornite dalla Corte Costituzionale.



Sul punto, la sentenza in commento rileva come Fabo fosse una persona:

-affetta da una patologia irreversibile (come dimostrato dalla documentazione medica acquisita), per lui fonte di sofferenze fisiche e psicologiche, che trovava assolutamente intollerabili (come dichiarato dai testi che avevano verificato gli effetti della malattia);

- tenuto in vita a mezzo di trattamenti di sostegno vitale (come dimostrato dalla documentazione medica acquisita, attestante la non autonomia di Fabo nella respirazione, nell'alimentazione e nell'evacuazione);

-capace di prendere decisioni libere e consapevoli (come dichiarato da tutti i suoi parenti e amici, nonché dal notaio che redasse il testamento biologico).

Inoltre, nel corso del dibattimento si era anche accertato che:

-le condizioni di Fabo erano state verificate in ambito medico;

-la volontà dell'interessato era stata manifestata in modo chiaro ed univoco, compatibilmente con quanto consentito dalle sue condizioni (come dimostrato dalla redazione di un testamento biologico e dalla realizzazione di alcuni video, uno indirizzato al Presidente della Repubblica e un altro registrato dalla trasmissione "Le Iene" alcuni giorni prima della morte di Fabo);

-il paziente era stato informato in ordine alla sua condizione ed alle possibili soluzioni alternative, segnatamente con riguardo all'accesso alle cure palliative ed, eventualmente, alla sedazione profonda continua (come comprovato dalla dichiarazione di amici, attestanti come Fabo aveva esplicitamente escluso la possibilità di morire interrompendo le cure in quanto riteneva che, avendo mantenuto una certa capacità di respirazione autonoma, la sua agonia sarebbe stata molto lunga, probabilmente dolorosa e comunque non dignitosa).

Ricorrendo, quindi, le condizioni imposte dalla Corte Costituzionale per escludere la punibilità della condotta di aiuto al suicidio prevista dell'art. 580 c.p., anche la contestazione di agevolazione al suicidio non è punibile.

Alla luce di tanto, la Corte di Assise assolve Cappato dalle condotte ascrittegli, con la formula il fatto non sussiste. 

 

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