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Con la sentenza n. 6324 dello scorso 5 marzo, la III sezione civile della Corte di Cassazione – chiamata a esaminare un ricorso per Cassazione che non riportava in maniera comprensibile né la sequenza dei fatti di causa rilevanti, né le ragioni delle decisioni dei due gradi di giudizio, né i motivi di ricorso per cassazione – ne ha dichiarato l'inammissibilità perché il ricorso, per come era stato redatto, non consentiva l'idonea comprensione della complessiva vicenda processuale.
Si è, quindi, severamente ammonito il legale che aveva redatto quel ricorso, specificando che la valutazione in termini d'inammissibilità del ricorso non esprime, naturalmente, un formalismo fine a sé stesso, bensì il richiamo al rispetto di una precisa previsione legislativa volta ad assicurare uno "standard" di redazione degli atti che, declinando la qualificata prestazione professionale svolta dall'avvocato e come detto presupposta dall'ordinamento, si traduce nel sottoporre al giudice nel modo più chiaro la vicenda processuale e le ragioni dell'assistito, così come le questioni sottoposte all'attenzione della Corte nel ricorso per cassazione cui si sia giunti.
Il caso sottoposto all'attenzione della Corte prende avvio dalla notifica contestuale di un atto di precetto e di una ordinanza di assegnazione di somme, attraverso i quali una parte intimava ad una banca terza pignorata il pagamento di un importo stabilito nella suddetta un'ordinanza di assegnazione.
Avverso la procedura esecutiva successivamente incardinata nelle forme del pignoramento presso terzi, l'istituto di credito proponeva opposizione all'esecuzione deducendo, in particolare, di aver pagato l'intera sorte assegnata nell'ordinanza ma che, ciò nonostante, la creditrice aveva proceduto alle vie coattive. Disposta la sospensione dell'esecuzione, la creditrice si difendeva rilevando che l'istituto di credito aveva pagato una somma diversa da quella intimata, senza saldare interessi, spese di notifica e registrazione dell'ordinanza.
Sia in primo che in secondo grado il giudice dell'esecuzione accoglieva le doglianze della banca, sostenendo che la condotta dell'istituto di credito fosse conforme a buona fede e correttezza, mentre la creditrice aveva abusivamente frazionato il credito azionato.
Ricorrendo in Cassazione, la creditrice chiedeva, tra le altre cose, la remissione della questione alle Sezioni Unite assumendo che le sezioni semplici avessero deciso in modo difforme in ordine alla possibilità per l'esecutante di notificare l'ordinanza di assegnazione unitamente all'atto di precetto
La Cassazione, senza neanche entrare nel merito del ricorso, ne dichiara l'inammissibilità.
In punto di diritto gli Ermellini ricordano come il ricorso per Cassazione – per soddisfare il requisito imposto dall'articolo 366, primo comma, n. 3, c.p.c. – deve contenere un'esposizione dei fatti di causa tale da far chiaramente risultare le posizioni processuali spiegate dalle parti e gli argomenti dei giudici dei singoli gradi: il requisito in parola consiste, quindi, in un'esposizione che deve garantire alla Corte di avere una chiara e completa cognizione del fatto sostanziale che ha originato la controversia e del fatto processuale, senza dover ricorrere ad altre fonti o atti in suo possesso, compresa la stessa sentenza impugnata
Ne deriva che esposizione dei fatti e argomentazione dei giudici di merito devono essere immediatamente percepibili e non possono ricavarsi da una faticosa o complessa opera di distillazione della successiva esposizione dei singoli motivi di ricorso, perché tanto equivarrebbe a devolvere alla Corte un'attività di estrapolazione della materia del contendere, che é riservata invece al ricorrente.
Con specifico riferimento al caso di specie, la Corte osserva che il ricorso presentato non riporta in maniera comprensibile né la sequenza dei fatti di causa rilevanti (constatando questa parte nella parziale riproduzione scannerizzata di atti ed in una laconica quanto incompleta esposizione di alcune circostanze del giudizio di primo e di secondo grado) né le ragioni delle decisioni dei due gradi di giudizio, né i motivi di ricorso per cassazione (costruiti anch'essi con riproduzione scannerizzata di atti a volte a tratti illeggibili).
Ne deriva che il ricorso, per come è stato redatto, non consente alla Corte, in violazione dell'art. 366, primo comma, n. 3, c.p.c., l'idonea comprensione della complessiva vicenda processuale:
Gli Ermellini ribadiscono infatti che – in mancanza di una essenziale narrazione dei fatti processuali, della sintetica e puntuale esposizione della soluzione accolta dai giudici di merito e di una chiara illustrazione dell'errore commesso e delle ragioni che lo facciano considerare tale – viene addossato alla Cassazione il compito, ad essa non spettante, di sceverare da una pluralità di elementi sottoposti al suo esame senza un ordine logico, quelli ritenuti rilevanti, dallo stesso soggetto ricorrente, ai fini del decidere.
Né è possibile, nel caso di specie, al fine di evitare una pronuncia d'inammissibilità del ricorso, recuperare la necessaria esposizione dei fatti di causa attraverso la lettura dei motivi di ricorso, posto che anche gli stessi non sono autonomamente comprensibili e sono privi della necessaria rielaborazione sintetica, da parte della ricorrente, e di una chiara individuazione della rilevanza delle tesi esposte.
Da ultimo la Corte specifica che non è possibile desumere il senso dei motivi di ricorso con l'ausilio fornito dal testo della sentenza, al quale non si può attingere per esaminare e decidere il ricorso se quest'ultimo non sia in grado di fornire autonomamente la chiave di comprensione del processo e della motivazione fatta propria dalla sentenza impugnata.
In virtù di tanto, la Cassazione dichiara inammissibile il ricorso, con condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali.
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