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Il sequestro di beni nella disponibilità di terzi

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Con la sentenza n. 58327, depositata il 27 dicembre scorso, la terza sezione della Corte di Cassazione ha precisato il ruolo del terzo proprietario nel ricorso per riesame avverso un provvedimento ablativo per equivalente.  

Nel caso sottoposto alla Corte, il decreto di sequestro preventivo era stato emesso nei confronti del marito della ricorrente per un reato fiscale, ma materialmente era stato eseguito su un bene immobile trasferito a quest'ultima in virtù di decreto di omologa di separazione consensuale di qualche anno precedente.

Il provvedimento era stato impugnato sia dall'indagato che dalla moglie, proprietaria del bene.

Il ricorso per riesame del marito veniva dichiarato inammissibile in quanto l'indagato in sede di impugnazione aveva dichiarato per l'appunto di non essere proprietario del bene.

Questo punto rappresenta il primo motivo di censura rilevato da parte della Corte la quale afferma come il sequestro per equivalente possa riguardare anche beni che non siano di proprietà dell'indagato, purché quest'ultimo ne abbia la disponibilità.

Dunque, di rimando la legittimazione ad impugnare non può essere legata solo alla titolarità del bene.

"Secondo il consolidato orientamento di questa Suprema Corte, in tema di sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente, il giudice che emette il provvedimento ablativo è tenuto soltanto ad indicare l'importo complessivo da sequestrare, mentre l'individuazione specifica dei beni da apprendere e la verifica della corrispondenza del loro valore al "quantum" indicato nel sequestro è riservata alla fase esecutiva demandata al P.M."

Il problema che si pone in questi casi però è la tutela del terzo.

Nelle ipotesi di sequestro per equivalente, infatti, il giudice non è tenuto ad individuare i beni che saranno oggetto del provvedimento ablativo, poiché in quei casi i beni non verranno appresi per la loro intrinseca pericolosità o perché rappresentano prezzo, prodotto o profitto del reato, bensì perché sono un'unità di misura del valore corrispondente ad essi.

Ebbene,  elemento legittimante questo tipo di sequestro rimane la disponibilità (concetto per più ampio della titolarità) del bene in capo all'indagato.

Ne consegue che, ove un terzo deduca l'esclusiva titolarità e disponibilità di quel bene, mette in discussione la legittimità intrinseca del sequestro e dunque "non può essere privato del diritto di far valere dinanzi al giudice del riesame le proprie ragioni sol perché il bene non è stato indicato nel decreto di sequestro ma è stato individuato in sede esecutiva in quanto ritenuto dal Pubblico Ministero o dalla polizia giudiziaria in "disponibilità̀" del reo". 

 Viceversa, osserva correttamente la Corte, così argomentando, si finirebbe per ridurre una condizione di legittimità della misura ablativa ad una modalità di esecuzione.

Ciò comporterebbe altresì un'ingiustificata discriminazione poiché qualora i beni da sequestrare (anche per equivalente) fossero indicati nel provvedimento, allora il terzo potrebbe proporre riesame. 

Altrimenti, avrebbe a disposizione solo il rimedio dell'incidente di esecuzione.

Ne consegue dunque che, ove non sia possibile per il giudice individuare i beni da sottoporre a sequestro, sia legittimo che sia il pubblico ministero ad individuarli. 

Tuttavia avverso tale provvedimento anche il terzo proprietario che ha la disponibilità dei beni sequestrati po' proporre riesame.

Infine, merita un breve cenno la conclusione della sentenza che riconosce efficacia al provvedimento di omologa con il quale era avvenuto il trasferimento immobiliare, sebbene il sequestro fosse stato trascritto prima della trascrizione del decreto stesso. 

In questo caso i giudici hanno prediletto il fatto sostanziale dell'esistenza di un provvedimento traslativo avente data certa rispetto alla efficacia della pubblicità.

La Corte ha quindi ritenuto che la ex moglie dell'indagato dovesse essere tutelata e ha disposto la restituzione dell'immobile alla proprietaria esclusiva. 

 

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