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Disinteresse verso il figlio: padre condannato per illecito endofamiliare

Disinteresse verso il figlio: padre condannato per illecito endofamiliare

Con la pronuncia n. 27139 dello scorso 6 ottobre in tema di illecito endofamiliare, la I sezione civile della Corte di Cassazione, ha accolto il ricorso di una madre che aveva avanzato una domanda di risarcimento danni per illecito endofamiliare nei confronti del padre di suo figlio, per aver l'uomo frequentato molto poco il bambino fino ai diciotto mesi.

Si è difatti precisato che "il disinteresse mostrato da un genitore nei confronti di un figlio naturale integra la violazione degli obblighi di mantenimento, istruzione ed educazione della prole, e determina la lesione dei diritti nascenti dal rapporto di filiazione che trovano negli articoli 2 e 30 della Costituzione - oltre che nelle norme di natura internazionale recepite nel nostro ordinamento - un elevato grado di riconoscimento e tutela, sicché tale condotta è suscettibile di integrare gli estremi dell'illecito civile e legittima l'esercizio, ai sensi dell'art. 2059 c.c. di un'autonoma azione volta al risarcimento dei danni non patrimoniali sofferti dalla prole".

Nel caso sottoposto all'attenzione della Cassazione, una madre citava in giudizio il padre del proprio figlio, affinché venisse condannato al risarcimento del danno non patrimoniale sofferto a causa della condotta di progressivo abbandono del bambino e della relativa trascuratezza circa i doveri genitoriali.

Il Tribunale di Torino respingeva la domanda, sicché la donna proponeva tempestivo appello, dolendosi della mancata ammissione delle prove tendenti a dimostrare l'illecito endofamiliare, consistito nella privazione della figura paterna sofferta dal minore, protrattasi per anni. 

La Corte di Appello di Torino rigettava il gravame, sul presupposto che – pur essendo indiscussa la scarsa frequentazione da parte del padre del figlio fino ai diciotto mesi, avendo egli deciso di privilegiare la sua famiglia, composta da cinque figli – non era emersa la prova che il minore, dall'abbandono del padre, avesse sofferto un danno nel concreto del suo percorso evolutivo nei contesti di riferimento (scuola e famiglia), considerando altresì che la frequentazione del padre era stata minima e per un breve periodo della vita del minore da non aver potuto lasciare, a livello cosciente, ricordi della stessa figura paterna.

La donna, ricorrendo in Cassazione, si doleva per aver la Corte d'Appello negato la sussistenza dell'illecito endofamiliare pur in presenza della chiara violazione dei diritti fondamentali del minore, come sanciti dalla Costituzione, dalla Dichiarazione di N. Y., dal Trattato UE e dalla Carta dei diritti fondamentali.

A tal fine la mamma deduceva come il fatto stesso che il padre avesse di fatto abbandonato il figlio dopo pochi mesi di vita, disinteressandosene del tutto, integrava la lesione dei diritti fondamentali del minore, garantiti dalla richiamata normativa sovranazionale e unionale.

La Cassazione condivide la posizione del ricorrente. 

In punto di diritto la Corte ricorda che il disinteresse mostrato da un genitore nei confronti di una figlia naturale integra la violazione degli obblighi di mantenimento, istruzione ed educazione della prole, e determina la lesione dei diritti nascenti dal rapporto di filiazione che trovano negli articoli 2 e 30 della Costituzione - oltre che nelle norme di natura internazionale recepite nel nostro ordinamento - un elevato grado di riconoscimento e tutela, sicché tale condotta è suscettibile di integrare gli estremi dell'illecito civile e legittima l'esercizio, ai sensi dell'art. 2059 c.c. di un'autonoma azione volta al risarcimento dei danni non patrimoniali sofferti dalla prole.

Passando ad analizzare il caso di specie, la Cassazione evidenzia l'errore della corte distrettuale nel ritenere che il danno allo sviluppo fisio-psichico del bambino non fosse stato dimostrato per la sola brevità del periodo durante il quale il padre aveva frequentato il figlio. Secondo gli Ermellini, infatti, l'abbandono del minore, protrattosi ininterrottamente dopo i diciotto mesi di vita del bambino, rappresentava una condotta in violazione dei doveri di educazione e mantenimento: in presenza di tale circostanza, la Corte territoriale avrebbe dovuto accertare quali fossero stati gli effetti causati dal disinteresse del padre sullo sviluppo fisiopsichico del bambino, nella fase evolutiva della sua vita; di contro, sotto questo profilo, la Corte territoriale aveva omesso di valutare qualsivoglia conseguenza dannosa cagionata dalla condotta dell'uomo nei confronti del figlio, anche considerando la deliberata volontà dell'uomo di trascurare il bambino per dedicarsi esclusivamente ai figli nati in costanza del suo matrimonio, con evidente grave ed iniqua discriminazione.

In conclusione, la Cassazione accoglie il ricorso e cassa la sentenza impugnata, rinviando alla Corte d'appello di Torino, in diversa composizione, anche in ordine al regolamento delle spese del grado di legittimità. 

 

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