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Con sentenza n.109 del 14 aprile 2025, il Consiglio Nazionale Forense ha affermato la responsabilità disciplinare e la congruità della sanzione della radiazione per l'avvocato che, abusando della qualità di pubblico ufficiale, tenga una condotta antigiuridica e non mostri nel corso del giudizio disciplinare alcuna resipiscenza, arrecando in tal modo offesa all'immagine dell'Avvocatura.
I fatti del procedimento
Un avvocato è stato condannato in sede penale alla pena della reclusione con applicazione dell'interdizione dai pubblici uffici e in sede disciplinare alla sanzione della radiazione in quanto, nello svolgimento dell'incarico di amministratore di sostegno, abusando della qualità di pubblico ufficiale e di ausiliario dell'Autorità Giudiziaria, ha prelevato dai conti delle proprie amministrate ingenti somme di danaro non autorizzate dal Giudice tutelare, destinandole a vantaggio proprio e della propria madre, cagionando in tal modo un evidente disdoro dell'immagine dell'Avvocatura a causa della diffusione mediatica della incresciosa vicenda.
Avverso la decisione emessa dal CDD l'incolpato ha proposto ricorso al Consiglio Nazionale Forense per decorso del termine di prescrizione, per difetto di motivazione e per eccessività della sanzione irrogata.
La decisione del Consiglio Nazionale Forense
Riguardo al termine prescrizionale, il Consiglio ha rilevato che la fattispecie oggetto di giudizio è pacificamente regolata, ratione temporis, dall'art. 56 L. 31.12.2012 n.247. Ciò in quanto l'appropriazione sine titulo e la mancata restituzione di somme di competenza delle parti assistite costituiscono un illecito permanente per la protrazione nel tempo degli effetti prodotti dal reato (sebbene tali condotte penalisticamente integrino un reato istantaneo in quanto la sua consumazione si esaurisce con l'uso).
Ciò comporta che ai fini dell'individuazione del dies a quo prescrizionale, gli effetti illecitamente pregiudizievoli e la permanenza cessano nel momento in cui il professionista metta a disposizione del cliente le somme spettanti o qualora si verifichi una interversione nel possesso delle stesse oppure, al fine di evitare una irragionevole imprescrittibilità dell'illecito stesso, a seguito della decisione disciplinare di primo grado (Corte di Cassazione, SS.UU, sentenza n. 28468/2022 e sentenza n. 26991/2022; Consiglio Nazionale Forense, sentenza n. 235/2024).
Nel caso in esame, il ricorrente ha reiterato per più anni la condotta di appropriazione sine titulo di importi prelevati dai conti correnti delle amministrate e non ha dato prova di aver risarcito il grave danno patrimoniale arrecato alle amministrate stesse, con la conseguenza che il dies a quo della decorrenza del termine prescrizionale coincide con la decisione disciplinare e la prescrizione non si è ancora compiuta.
Quanto al difetto di motivazione, la doglianza del ricorrente è dovuta alla circostanza che il CDD ha ha fondato il proprio convincimento della responsabilità disciplinare dell'incolpato sulla circostanza che quest'ultimo in sede di appello della sentenza emessa dal GIP ha patteggiato ai sensi dell'art.599 bis c.p.p. riconoscendosi così responsabile delle appropriazioni di denaro.
Al riguardo il Consiglio ha ritenuto corretto l'iter logico giuridico seguito dal giudicante di primo grado, in quanto la sentenza emessa all'esito dell'accordo ex art. 599 bis c.p.p. è una sentenza di condanna che, una volta divenuta irrevocabile, "ha efficacia di giudicato nel giudizio disciplinare quanto all'accertamento del fatto, alla sua eventuale illiceità penale ed all'affermazione che l'imputato lo ha commesso" (cfr. Corte di Cassazione, sentenza n. 26999 del 17 ottobre 2024; Consiglio Nazionale Forense sentenza n. 323 del 16 settembre 2024).
Infine, in merito alla dosimetria della sanzione, il Consiglio ha ritenuto che il giudice disciplinare di primo abbia correttamente applicato i principi sanciti con riferimento agli illeciti disciplinari atipici secondo cui la mancata "descrizione" di uno o più comportamenti e della relativa sanzione impone l'applicazione dell'art. 21 del nuovo CDF, per cui:
- oggetto della valutazione degli organi giudicanti deve essere il comportamento complessivo dell'incolpato;
- la sanzione è unica anche quando siano contestati più addebiti nell'ambito del medesimo procedimento;
- la sanzione deve essere adeguata e proporzionata alla violazione deontologica commessa, nonché commisurata alla gravità del fatto, al grado della colpa, all'eventuale sussistenza del dolo e alla sua intensità, al comportamento dell'incolpato, precedente e successivo al fatto, avuto riguardo alle circostanze, soggettive e oggettive, nel cui contesto è avvenuta la violazione;
- nella determinazione della sanzione si deve, altresì, tenere conto del pregiudizio eventualmente subito dalla parte assistita e dal cliente nonché della compromissione dell'immagine della classe forense.
Peraltro, il Consiglio ha rilevato che l'incolpato non ha dimostrato alcun cenno di resipiscenza nel corso del procedimento disciplinare né ha provato a risarcire interamente il danno patrimoniale cagionato.
Per questi motivi, il Consiglio Nazionale Forense ha ritenuto la piena sussistenza della responsabilità disciplinare del ricorrente e la congruità della sanzione edittale della radiazione irrogata dal CDD.
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Il mio nome è Anna Sblendorio. Sono una persona curiosa e creativa e mi piace il contatto con la gente. Amo dipingere, ascoltare musica, andare a teatro, viaggiare e passare del tempo con la mia famiglia ed i miei amici. Nel 2008 mi sono laureata in giurisprudenza presso l'Università degli studi di Bari "Aldo Moro" e successivamente ho conseguito l'abilitazione per l'esercizio della professione da avvocato. Nel corso degli anni ho collaborato con diversi centri di formazione occupandomi di tutoraggio in materie giuridiche e nel 2022 ho iniziato a collaborare con la testata giuridica online www.retidigiustizia.it.