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CNF. Sospensione per l'avvocato che utilizza di bolli e contributo unificato contraffatti

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Fonte: https://codicedeontologico-cnf.it/

Con sentenza n.93 del 4 aprile 2025, il Consiglio Nazionale Forense ha affermato la responsabilità disciplinare e ha confermato la sanzione della sospensione per l'avvocato che, per l'iscrizione a ruolo telematica dei giudizi, utilizzi bolli e contributo unificato già adoperati o contraffatti.

Vediamo come si sono svolti i fatti del procedimento.

I fatti del procedimento

A seguito della segnalazione da parte della Procura della Repubblica per l'esercizio dell'azione penale nei confronti di un avvocato, quest'ultimo è stato sottoposto anche a procedimento disciplinare per aver

  • acquistato valori bollati contraffatti da un soggetto non autorizzato alla vendita di tali valori, in violazione dei doveri di lealtà, probità, dignità e decoro ex art.9 cdf;
  • utilizzato su n.181 fascicoli depositati dinanzi al GdP n.121 contrassegni telematici ("marche") falsificati, violando il dovere di adempimento fiscale ex art.16 cdf;
  • si è avvalso di un soggetto estraneo all'organizzazione dello studio legale per lo svolgimento dell'attività di iscrizione a ruolo delle cause, mettendolo al corrente dell'attività prestata, delle informazioni conosciute in dipendenza del mandato, dei nominativi dei propri clienti, in violazione dei doveri di diligenza ex art.12 cdf, di segretezza e riservatezza e del dovere di corretta informazione ex artt.13 e 35 comma 8 cdf.

 Considerata la straordinaria percentuale di bolli falsi sugli atti (77%), la circostanza che l'incolpato non abbia potuto produrre un qualsivoglia documento fiscale attestante l'acquisto presso canali ufficiali, il rilevante valore economico dei contrassegni contraffatti (oltre 5.000 euro), il CDD ha ritenuto provato che l'incolpato acquistasse le marche falsificate e fosse consapevole di tale falsità e ha applicato nei suoi confronti la sospensione dall'esercizio della professione forense per otto mesi.

L'incolpato ha impugnato la sentenza davanti al Consiglio Nazionale Forense lamentando, in particolare, l'insussistenza delle violazioni deontologiche addebitate e l'eccessività della sanzione applicata.

La decisione del Consiglio Nazionale Forense

Il Consiglio ha ritenuto condivisibile l'iter logico giuridico seguito dal CDD evidenziando che

  • poiché la coscienza e volontà delle azioni o delle omissioni consistono nel dominio anche solo potenziale dell'azione o omissione e l'agente resta scriminato solo se vi sia errore non superabile con l'uso della normale diligenza oppure se intervengano cause esterne che escludono l'attribuzione psichica della condotta al soggetto, non può parlarsi di imperizia incolpevole nel caso di un professionista legale, il quale è ben in grado di conoscere e interpretare correttamente l'ordinamento giudiziario e forense (Corte di Cassazione, SS.UU., sentenza n. 20877 del 26 luglio 2024);
  • il dovere di segretezza e riservatezza impone al professionista di mantenere il segreto e il massimo riserbo sull'attività prestata e su tutte le informazioni che fornite dal cliente e dalla parte assistita e su quelle delle quali sia venuto a conoscenza in dipendenza del mandato. E tale dovere persiste anche dopo la conclusione del mandato (Consiglio Nazionale Forense, sentenza n. 227 del 20 novembre 2020);
  • l'Avvocato che, per l'iscrizione a ruolo telematica dei giudizi, utilizza bolli e contributo unificato già adoperati si rende responsabile della violazione dei doveri di probità, dignità, decoro, nonché del dovere di adempimento fiscale. Peraltro, la reiterazione del comportamento e la mancata adduzione di elementi a sostegno dell'invocato caso fortuito impongono l'affermazione della responsabilità deontologica, anche in ragione dell'idoneità della condotta a ingenerare nel personale giudiziario un giudizio negativo sulla figura del professionista e dell'intera classe forense;
  • il dovere di corretta informazione comporta da un lato che deve essere impedita una diffusione sia dei nominativi dei clienti, sia dell'attività svolta nel loro interesse; dall'altro, la necessità di tutelare l'autonomia del professionista in stretta correlazione con la dignità e il decoro della professione, come risulta dalla irrilevanza del consenso delle parti alla divulgazione (Consiglio Nazionale Forense, sentenza n. 294 del 5 luglio 2024).
  • la determinazione della sanzione non è frutto di un calcolo matematico, ma dipende dalla complessiva valutazione dei fatti (Consiglio Nazionale Forense, sentenza n. 132 del 18 aprile 2024), pertanto risulta motivata in modo logico e condivisibile la sanzione in concreto irrogata dal CDD tenendo conto della complessiva condotta dall'incolpato, della gravità dei relativi comportamenti e della piena consapevolezza violativa da parte dell'autore, di norme di rilevanza disciplinate e del relativo grado di intensità, nonché della correlata grave lesione dell'immagine della professione e della vita professionale dello stesso incolpato.

Nel caso di specie, pertanto, il Consiglio Nazionale Forense ha ritenuto sussistente la responsabilità disciplinare dell'incolpato per le condotte documentate e accertate nonché dell'elemento psicologico e ha rigettato il ricorso. 

 

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