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Azioni esecutive su titoli già adempiuti, Sezioni Unite:"Scatta la radiazione dall’ albo degli avvocati"

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Con la sentenza n. 30868 dello scorso 29 novembre, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione – considerato truffaldino il comportamento di due avvocati che promuovevano azioni esecutive su titoli già adempiuti, lucrando indebitamente somme non dovute – ha confermato la sanzione disciplinare consistente nella radiazione dall'albo, ritenendo che sussiste "l'incompatibilità con la permanenza nell'albo di chi si rende responsabile della violazione dei fondamentali doveri professionali, quali la violazione dei doveri di probità, dignità e decoro di cui all'art. 5 (ora art. 9 nuovo Codice deontologico); assunzione di iniziative con malafede e colpa grave ex art. 6 (ora artt. 9 e 12); aggravamento della posizione del debitore costretto a pagare due volte (art. 66 nuovo Codice deontologico)".

Sul merito della questione aveva statuito, inizialmente, il Consiglio dell'Ordine di Catanzaro che, con sentenza, infliggeva la sanzione disciplinare della radiazione dall'albo a due avvocati per aver promosso, negli anni 2010/2011, numerose e reiterate azioni esecutive nei confronti di Poste Italiane S.p.A., tutte fondate su titoli già in precedenza azionati nei confronti della medesima società e già regolarmente e tempestivamente adempiuti negli anni 2006 e 2007.

In particolare, a seguito di un esposto presentato dalle Poste, si era instaurato un procedimento disciplinare presso il COA di Catanzaro a carico dei due legali incolpati perché, con comportamento cosciente e volontario, avevano di fatto aggravato la posizione del debitore con azione giudiziarie plurime: condotta, questa, ritenuta penalmente rilevante e gravemente lesiva della reputazione della classe forense. 

Il Consiglio Nazionale Forense, accertata la violazione del codice deontologico forense (e, in particolare, degli articoli 9, 12 e 66 riguardanti, rispettivamente, il dovere di dignità, probità e decoro, l'assunzione di iniziative con malafede e colpa grave e il divieto di aggravamento della posizione debitoria) confermava la sanzione applicata.

I due legali, ricorrendo in Cassazione, non contestavano i fatti e i documenti in atto, ma eccepivano la mancata considerazione, da parte del Consiglio Nazionale Forense, di talune circostanze che ridimensionavano la loro personale responsabilità: i ricorrenti, in particolare, sollevavano il concorso colposo di Poste Italiane che, per una serie di anomalie procedurali, non aveva specificato i riferimenti dei pagamenti spontaneamente disposti sicché, a fronte delle numerose pratiche azionate, diveniva impossibile per i legali procedere ad una ricostruzione delle posizioni adempiute; in secondo luogo si rimarcava come gli incolpati avessero cercato di riparare il danno, restituendo volontariamente parte delle somme non dovute.

Tali circostanze, secondo i legali, erano emblematiche della mancanza di qualsiasi volontarietà e consapevolezza delle fattispecie contestate, sicché nessun illecito disciplinare poteva ritenersi integrato.

In ultima istanza, ci si doleva perché la sentenza impugnata non aveva giustificato adeguatamente la scelta di infliggere la sanzione più grave relativa alla radiazione dall'albo.

Le Sezioni Unite non condividono le tesi difensive dei ricorrenti. 

 Gli Ermellini evidenziano come i fatti accertati conducono tutti, inequivocabilmente, a riconoscere la responsabilità degli incolpati.

Siffatta responsabilità non può venir meno per un concorso colpevole delle Poste e della loro cattiva gestione delle procedura volte all'adempimento dei debiti, in quanto i ricorrenti – non solo erano istituzionalmente onerati, ma anche – in concreto erano in grado di effettuare le opportune verifiche sulle imputazione dei pagamenti, essendo in possesso della necessaria documentazione.

La sentenza in commento rimarca, inoltre, che il comportamento successivo all'apertura del procedimento, con l'ammissione esplicita di aver percepito somme non dovute e la restituzione solo parziale delle stesse, è un comportamento che non è avvenuto per un fortuito concorso di circostanze, ma per la conoscenza e volontà delle azioni e delle omissioni compiute.

Sul punto le Sezioni Unite ricordano che, anche nella formulazione dell'art. 4 nuovo Codice deontologico, la suitas ricorre quando, con un atto consapevole volitivo si tiene un comportamento illecito, che comporta una presunzione di colpa; diventa quindi preciso onere a carico dell'incolpato escludere l'addebito attraverso la prova dell'inevitabilità dell'errore o della sua non riferibilità: nel caso di specie siffatta prova non è stata data.

In virtù di tutte siffatte argomentazioni e degli accertamenti compiuti si conclude affermando che non può che ritenersi truffaldino il comportamento dell'avvocato che promuove azioni esecutive su titoli a proprio favore già adempiuti, lucrando indebitamente somme non dovute.

Per tale comportamento è corretta la sanzione della radiazione, alla luce della normativa di cui alla L. n. 247 del 2012, che ha affermato il principio, già consolidato sotto il previgente codice deontologico, dell'incompatibilità con la permanenza nell'albo di chi si rende responsabile della violazione dei fondamentali doveri professionali, quali la violazione dei doveri di probità, dignità e decoro di cui all'art. 9 nuovo Codice deontologico, l' assunzione di iniziative con malafede e colpa grave ex artt. 9 e 12, l'aggravamento della posizione del debitore costretto a pagare due volte ex art. 66 nuovo Codice deontologico.

La sentenza di merito viene dunque confermata; la Cassazione rigetta il ricorso, con condanna della ricorrente al pagamento delle spese del giudizio.

 

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