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Adescamento di minori: condanna confermata per aver chiesto su Whatsapp un autoscatto erotico

Adescamento di minori: condanna confermata per aver chiesto su Whatsapp un autoscatto erotico

Con la sentenza n. 23931 dello scorso 18 giugno, la III sezione penale della Corte di Cassazione, ha confermato la condanna a carico di un ragazzo per il reato di adescamento di minorenni per aver istigato una dodicenne a inviargli degli auto-scatti erotici, ritraenti le proprie parti intime, tramite l'applicazione Whatsapp.

Si è difatti precisato che "fra le condotte criminose cui l'art. 609-undecies c.p. appresta una forma di tutela avanzata vi è anche quella integrante i reati di cui agli artt. 600-ter e 600-quater".

Il caso sottoposto all'attenzione della Cassazione prende avvio dall'esercizio dell'azione penale nei confronti di un ragazzo ventenne accusato di adescamento di minorenni perché, in un contesto di conversazioni digitali di tipo sessuale, aveva istigato una minore di anni 12 a inviargli degli auto-scatti che ne ritraevano delle parti intime.

In particolare, l'imputato, attraverso il programma di messaggistica Whatsapp, dopo avere tentato di circuire la predetta minore con frasi volte a metterne in luce la sua bellezza ed il fatto che lui la preferisse alla sua fidanzata, chiedeva alla ragazzina di trasmettergli, sempre attraverso Whatsapp, delle immagini fotografiche che ne ritraevano le natiche e il seno. 

 In virtù di tanto, a seguito di giudizio abbreviato, il Gup del Tribunale di Ragusa condannava l'uomo per il reato di adescamento di minorenne, sul presupposto che le immagini che il ventenne aveva suggerito di riprodurre fossero rientranti nel novero delle immagini costituenti pedopornografia, per come definito dall'art. 600-ter c.p., u.c., in quanto atte ad eccitare l'istinto sessuale.

La condanna veniva confermata dalla Corte di appello di Catania.

Ricorrendo in Cassazione, la difesa dell'imputato chiedeva l'annullamento della sentenza impugnata, denunciando violazione di legge ed al difetto di motivazione riguardo alla sussistenza degli elementi caratterizzanti il reato di cui all'art. 609-undecies c.p..

A tal fine si evidenziava come la Corte territoriale aveva errato nel ritenere che il tenore delle conversazioni intercorse fra lui e la persona offesa fossero volte all'adescamento della ragazzina, onde commettere in danno della medesima reati a contenuto sessuale: secondo la difesa dell'imputato, infatti, la sentenza impugnata non aveva contestualizzato il contenuto dei messaggi, del tutto privi di capacità intimidatoria, né aveva fornito una interpretazione sulla base di una visione di insieme degli stessi.

La Cassazione non condivide le difese mosse dal ricorrente.

 Gli Ermellini evidenziano che fra le condotte criminose cui l'art. 609-undecies c.p. appresta una forma di tutela avanzata vi è anche quella integrante i reati di cui agli artt. 600-ter e 600-quater, ovvero la pornografia minorile e la detenzione di materiale pornografico.

Alla luce di tanto, il Collegio rileva che poco incide la circostanza che la condotta descritta dell'imputato potesse non apparire finalisticamente idonea alla realizzazione del reato di violenza sessuale ovvero di atti sessuali con minorenni, posto che l'imputato ha posto in essere il reato di detenzione di materiale pornografico, la cui realizzazione era, evidentemente, lo scopo - forse precipuo, indubbiamente immediato – della sua condotta.

In conclusione, la Cassazione dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende, nonché alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel giudizio dalla parte civile ammessa al patrocinio a spese dello Stato.

 

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