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Abusi edilizi: quando l’istanza di sanatoria impedisce la demolizione?

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Con la sentenza n. 55028 dello scorso 10 dicembre, la III sezione penale della Corte di Cassazione, ha fornito importanti precisazioni sul controllo che il giudice dell'esecuzione deve compiere nel vagliare una istanza di sanatoria presentata al fine di ottenere la revoca dell'ordine di demolizione chiarendo che "il giudice dell'esecuzione, in presenza di una domanda di sanatoria, non deve limitarsi a prenderne atto ai fini della sospensione o revoca dell'ordine di demolizione impartito con la sentenza di condanna, ma deve esercitare il potere-dovere di verifica della validità ed efficacia del titolo abilitativo, valutando la sussistenza dei presupposti per l'emanazione dello stesso e dei requisiti di forma e di sostanza richiesti dalla legge per il corretto esercizio del potere di rilascio, oltre alla rispondenza di quanto autorizzato con le opere destinate alla demolizione, con l'ulteriore precisazione che il rispetto dei principi generali fissati dalla legislazione nazionale richiesto per le disposizioni introdotte dalle leggi regionali riguarda anche eventuali procedure di sanatoria".

Il caso sottoposto all'attenzione della Cassazione prende spunto dall'istanza di sanatoria presentata da un cittadino per ottenere la revoca ovvero la sospensione dell'ordine di demolizione di opere abusive: l'istante deduceva che quelle opere erano state oggetto di un provvedimento amministrativo che – mediante silenzio assenso, intervenuto a seguito di una procedura di cui all'art. 20 comma 5 della legge Regionale n. 4/2003 – aveva di fatto regolarizzato la precedente situazione giuridica delle opere oggetto dell'ordine demolitorio, rendendola incompatibile con l'esecuzione della sentenza. 

Il Tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto, in veste di giudice dell'esecuzione, rigettava l'istanza, ritenendo che quelle opere abusive, per caratteristiche costruttive, dimensioni ed precarietà strutturale, non potevano rientrare nell'ambito applicativo di legge regionale siciliana, sicché nessuna regolarizzazione si era realizzata.

Ricorrendo in Cassazione, la difesa del cittadino censurava la decisione, rilevando come il giudice dell'esecuzione aveva adottato un provvedimento esorbitante dalle proprie attribuzioni, avendo egli sostanzialmente sindacato nel merito i presupposti e la legittimità del provvedimento di regolarizzazione con riferimento alle caratteristiche costruttive, alle dimensioni ed alla precarietà strutturale, esercitando conseguentemente una potestà riservata dalla legge ad organi amministrativi.

La Cassazione non condivide le censure sollevate.

In punto di diritto gli Ermellini ricordano che, il giudice dell'esecuzione, in presenza di una domanda di sanatoria, ha un ampio potere-dovere di controllo sulla legittimità dell'atto concessorio sotto il duplice profilo della sussistenza dei presupposti per la sua emanazione e dei requisiti di forma e di sostanza richiesti dalla legge per il corretto esercizio del potere di rilascio; deve, inoltre, verificare la rispondenza di quanto autorizzato con le opere destinate alla demolizione, con l'ulteriore precisazione che il rispetto dei principi generali fissati dalla legislazione nazionale richiesto per le disposizioni introdotte dalle leggi regionali riguarda anche eventuali procedure di sanatoria. 

In applicazione di tali principi, nel caso di specie, il giudice dell'esecuzione, correttamente ha rilevato l' insussistenza di elementi di fatto che sanano l'intervento edilizio abusivo: infatti gli interventi da demolire, per la loro effettiva consistenza, non erano riconducibili tra quelli descritti dall'art. 20 della legge regionale 4/2003.

In particolare la summenzionata legge, in deroga a qualsiasi altra disposizione normativa, attribuisce validità alla procedura di "regolarizzazione" delle opere abusive avviata ai sensi dell'art. 20 e conclusasi mediante un provvedimento definito di "silenzio assenso"; le opere abusive, per essere regolarizzate ai sensi della predetta legge, devono possedere il carattere della precarietà ed essere facilmente amovibili, rimanendo così esonerate dall'ottenimento di un pregresso permesso di costruire.

Nel caso di specie gli interventi non potevano ritenersi precari né facilmente rimovibili, sicché – in carenza del requisito di specialità che legittima il ricorso a quella disciplina regionale – correttamente il giudice di merito ha escluso che per siffatte opere potessero essere riconosciuti effetti estintivi del reato urbanistico in virtù della procedura di mera regolarizzazione di cui alla legge 4/2003: un' interpretazione di tal guisa, infatti, si sarebbe posta in evidente contrasto con i principi generali fissati dalla legislazione nazionale (artt. 36 e 45 del d.P.R. n. 380/2001) che invece prevede, ai fini della realizzazione dell'effetto estintivo del reato edilizio, il rilascio della concessione o permesso di costruire in sanatoria.

La Cassazione – chiarito che le disposizioni introdotte da leggi regionali devono rispettare i principi generali fissati dalla legislazione nazionale e, conseguentemente, devono essere interpretate in modo da non collidere con i detti principi – dichiara inammissibile il ricorso, condannando il ricorrente al pagamento delle spese processuali. 

 

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