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Sms ripetuti all’ex fidanzata per convincerla a non drogarsi più: non c’è il dolo di stalking

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 Con la sentenza n. 30740 dello scorso 4 novembre, la V sezione penale della Corte di Cassazione, ha assolto un uomo accusato di stalking ai danni della sua ex compagna per averle mandato diversi messaggi con i quali insisteva affinché anche la stessa smettesse di drogarsi, ritenendo che l'intento dell'uomo era incompatibile con il dolo di atti persecutori e che la persona offesa, in virtù del rapporto di affetto con l'imputato, non poteva aver subito uno stato di reale ansia e preoccupazione.

Si è precisato che l'insistenza dell'imputato nel mandare messaggi all'ex fidanzata per convincerla a farsi aiutare nella lotta contro la dipendenza era dettata proprio dal rapporto di sincera amicizia che legava i ragazzi, sicché la donna continuava a mantenere un legame affettivo con l'uomo, sul cui appoggio quotidiano confidava.

Il caso sottoposto all'attenzione della Cassazione prende avvio dall'esercizio dell'azione penale nei confronti di un uomo, accusato di stalking per aver messo in atto ripetute condotte persecutorie verso l'ex compagna, con la quale si erano lasciati da due anni ed era vigente un rapporto amicale.

In particolare, il ragazzo, ex tossicodipendente, insisteva con la donna affinché anche la stessa smettesse di drogarsi, facendosi aiutare dagli stessi esperti che avevano aiutato l'imputato ad uscire fuori da quel tunnel.

 In virtù di tanto, il Tribunale di Perugia riconosceva l'imputato colpevole del reato di atti persecutori ai danni dell'ex compagna.

La Corte di Appello di Perugia, in riforma della decisione del Tribunale, assolveva l'imputato per l'insussistenza del fatto.

I giudici, valorizzando il compendio probatorio acquisito al processo, evidenziavano come la ragazza era tossicodipendente e l'ex fidanzato, a sua volta affrancatosi da quella stessa condizione, era animato dal desiderio di volere aiutare a tutti i costi l'ormai amica a venirne fuori.

Secondo la sentenza di assoluzione, l'insistenza dell'imputato nel mandare messaggi all'ex fidanzata per convincerla a farsi aiutare nella lotta contro la dipendenza era dettata proprio dal rapporto di sincera amicizia che legava i ragazzi, come confermato anche dall'analisi dei messaggi sms inviati dalla stessa ragazza all'imputato, fino al giorno prima dell'arresto di questi, dai quali si evinceva che la donna continuava a mantenere un legame affettivo con l'uomo, sul cui appoggio confidava.

Proprio alla luce di tale rapporto affettivo, la Corte escludeva sia che nella persona offesa potesse essersi ingenerato uno stato di reale ansia e preoccupazione, evento tipico del reato di stalking, sia che l'imputato fosse animato dal dolo persecutorio.

Ricorrendo in Cassazione, la difesa della persona offesa chiedeva l'annullamento della sentenza impugnata, denunciando violazione e falsa applicazione dell'art. 192 c.p.p., nonché insussistenza, insufficienza e illogicità della motivazione.

 A tal fine evidenziava come che la Corte di appello, pur avendo ritenuto il suo narrato pienamente attendibile, avesse, tuttavia, escluso la rilevanza penale della condotta dell'imputato sulla base della ricostruzione del movente, confondendola con l'elemento psicologico del reato.

La Cassazione non condivide le difese mosse dalla ricorrente.

Gli Ermellini rilevano come giudice a quo abbia dato conto esaustivamente delle ragioni della propria decisione, con motivazione congrua, immune da illogicità di sorta, contenuta entro i confini della plausibile opinabilità di apprezzamento e valutazione e, pertanto, sottratta a ogni sindacato in sede di legittimità.

Difatti, la Corte di appello, esponendo un ragionamento logicamente supportato, coerente con consolidati principi di diritto, da un verso, non ha ravvisato il dolo persecutorio del giovane e, dall'altro, neppure l'evento stesso del reato, non avendo riscontrato l'insorgere nella vittima di uno stato di reale ansia e preoccupazione.

Ne deriva che le censure della ricorrente, sotto la luce di vizi di motivazione, tendono ad una rivalutazione degli elementi fattuali in assenza di lacune e/o contraddizioni motivazionali dei giudici del merito, sollecitando la Corte ad una nuova – ed inammissibile – valutazione del fatto.

In conclusione, la Cassazione dichiara inammissibile il ricorso, condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio e al versamento della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.

 

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