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Sintomi generici: condannato il medico che non prescrive accertamenti

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Con la pronuncia n. 30999 la III sezione civile della Corte di Cassazione, ha condannato una struttura sanitaria al risarcimento dai danni derivanti dal decesso di un uomo che, recatosi presso il pronto soccorso accusando sintomi generici, veniva dimesso senza che gli fossero stati prescritti accertamenti più approfonditi. Si è, difatti, ritenuto che "tiene una condotta colposa il medico che, dinanzi a sintomi aspecifici, non prenda scrupolosamente in considerazione tutti i loro possibili significati, ma senza alcun approfondimento si limiti a far propria una sola tre le molteplici e non implausibili diagnosi.".

Il caso sottoposto all'attenzione della Corte prende avvio dalla richiesta di risarcimento danni avanzata avverso una struttura ospedaliera dagli eredi di un uomo, deceduto in seguito alle conseguenze della rottura di un aneurisma cerebrale.

In particolare, gli stessi deducevano che il decesso era da ascriversi alla condotta dei sanitari del nosocomio i quali, per imperizia e negligenza,avevano sottovalutato i generici sintomi accusati dal paziente (nella specie uno svenimento ed una forte cefalea) e – piuttosto che prescrivere particolari approfondimenti diagnostici che avrebbero potuto rivelare la presenza dell'aneurisma, così consentendo più tempestive e salvifiche cure – lo dimettevano con semplici indicazioni di terapia farmacologica.

Sia il Tribunale di Nuoro che la Corte di Appello di Cagliari rigettavano la domanda attorea ritenendo, in accoglimento delle difese della struttura ospedaliera, che non vi fosse stata colpa dei sanitari: gli stessi, infatti, non avrebbero potuto sospettare dell'esistenza dell'aneurisma della quale non esistevano sintomi specifici. 

Gli attori, ricorrendo in Cassazione, sostenevano che i Giudici di merito avevano applicato una regola erronea per la valutazione della diligenza esigibile dal medico, esonerando da colpa i medici che – dinanzi a sintomi generici che non deponevano chiaramente ed univocamente per la presenza d'un aneurisma cerebrale – non avevano compiuto alcuno sforzo per il loro corretto inquadramento. Invero, secondo i ricorrenti, anche ammettendo che quei sintomi fossero stati davvero aspecifici, proprio la loro ambiguità doveva indurre i sanitari a più approfonditi accertamenti, soprattutto tenuto conto del fatto che i sintomi presentati dal paziente, seppure non potessero dirsi univocamente indicativi della presenza di un aneurisma cerebrale, nemmeno si sarebbero potuti dire univocamente escludenti l'esistenza d'un aneurisma.

La Cassazione condivide la censura formulata, evidenziando come la motivazione della sentenza impugnata sia viziata da violazione di legge.

Ed, invero, la colpa civile consiste nella deviazione da una regola di condotta; nel caso di inadempimento di obbligazioni professionali, ovvero di danni causati nell'esercizio d'una attività "professionale", il secondo comma dell'art. 1176 c.c. prescrive un criterio più rigoroso di accertamento della colpa. Il "professionista", infatti, è in colpa non solo quando tenga una condotta difforme da quella che, idealmente, avrebbe tenuto nelle medesime circostanze il bonus pater familias, ma anche quando abbia tenuto una condotta difforme da quella che avrebbe tenuto, al suo posto, un ideale professionista "medio" che, nella giurisprudenza della Cassazione, si identifica con un professionista "bravo", ovvero serio, preparato, zelante ed efficiente.

 La Cassazione evidenzia che, con specifico riferimento al caso di un paziente con sintomi generici, potenzialmente ascrivibili a malattie diverse, o comunque di difficile interpretazione, un bravo medico, diligente, non si sarebbe acquietato in una scettica epoché, sospendendo il giudizio ed attendendo il corso degli eventi ma avrebbe, al contrario, formulato una serie di alternative ipotesi diagnostiche, verificandone poi una per una la correttezza, oppure avrebbe segnalato al paziente i possibili significati della sintomatologia rilevata. Diversamente, tiene una condotta non conforme al precetto di cui all'art. 1176, comma secondo, c.c., il medico che, di fronte al persistere di sintomi od indici diagnostici dei quali non è agevole intuire l'eziogenesi, non solo non compia ogni sforzo per risalire, anche procedendo per tentativi, alla causa reale del sintomo, ma per di più taccia al paziente i significati di esso.

Con specifico riferimento al caso sottoposto alla propria attenzione, gli Ermellini sottolineano come la Corte di merito aveva accertato in fatto che il paziente presentava sintomi generici, ed escluso per ciò solo che il medico fosse in colpa per non averli correttamente inquadrati: così giudicando è incorsa in errore in quanto proprio l'aver accertato in facto che i sintomi non erano chiari, e non deponevano chiaramente per l'esistenza di un aneurisma sanguinante, avrebbe dovuto condurre alla conclusione in iure che i sanitari furono negligenti, per aver scartato a priori anche questa ipotesi, senza previamente disporre alcun accertamento specialistico.

In conclusione, si ribadisce che la sentenza impugnata è errata in diritto, nella parte in cui ha accertato in fatto che i sintomi fossero aspecifici, e ritenuto in diritto che non vi fosse colpa dei sanitari nel non avere sottoposto il paziente a più approfonditi esami diagnostici.

La sentenza impugnata viene dunque cassata con rinvio alla Corte d'appello di Cagliari. 

 

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