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Scartare un candidato in base all’altezza è discriminatorio se non si prova la pertinenza del requisito rispetto alle mansioni.

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Il limite staturale prescritto in una procedura di assunzione, costituisce una discriminazione indiretta ove non oggettivamente giustificato, né comprovato nella sua pertinenza e proporzionalità alle mansioni comportate dalla specifica qualifica da rivestire.

Cass., ord. del 27.02.2023, n. 5831.



Premessa


L'art. 1 del decreto legislativo dell'11 aprile 2006, n. 198, definisce discriminatoria ogni misura che abbia come conseguenza, o come scopo, quello di compromettere o impedire il riconoscimento, il godimento o l'esercizio dei diritti umani e delle libertà fondamentali in campo politico, economico, sociale, culturale e civile o in ogni altro campo, compresi quelli dell'occupazione, del lavoro e della retribuzione.

La discriminazione, in qualsiasi ambito si realizzi, può essere attuata sia in maniera diretta che indiretta.

Secondo l'art. 25 del decreto legislativo n. 198 del 2006, costituisce discriminazione diretta qualsiasi disposizione, criterio, prassi, atto, patto o comportamento, nonché l'ordine di porre in essere un atto o un comportamento, che produca un effetto pregiudizievole, discriminando le candidate o i candidati, in fase di selezione del personale, le lavoratrici o i lavoratori in ragione del loro sesso e, comunque, il trattamento meno favorevole rispetto a quello di un'altra lavoratrice o di un altro lavoratore in situazione analoga.

Costituisce, invece, discriminazione indiretta, ai sensi della citata legge, ogni disposizione, criterio, prassi, atto, patto, o comportamento, compresi quelli di natura organizzativa o incidenti sull'orario di lavoro, che, pur apparentemente connotato da neutralità, mettono o possono mettere i candidati in fase di selezione e i lavoratori di un determinato sesso in una posizione si particolare svantaggio rispetto agli altri lavoratori, salvo che riguardino requisiti essenziali allo svolgimento dell'attività lavorativa, purché l'obbiettivo sia legittimo e i mezzi impiegati per il suo conseguimento siano appropriati e necessari.

La Cassazione, in una recentissima ordinanza, ha ravvisato una fattispecie di discriminazione indiretta, ai sensi del citato art. 25 D.Lgs. 198 del 2006, nell'esclusione di una candidata, a seguito di una procedura di selezione del personale, per mancanza dei requisiti staturali minimi previsti dal bando per l'accesso al lavoro.

La pronuncia, in realtà, segue la linea interpretativa tracciata già nel 2017 dal TAR Lazio, tuttavia discostandosene perché non esclude in toto la possibilità di inserire i limiti di altezza tra le cause di esclusione dalle procedure di assunzione.

Secondo quanto affermato nell'ordinanza in commento, infatti, il limite staturale può essere ritenuto in sintonia con la disciplina antidiscriminatoria, qualora il datore di lavoro dia prova della sua indispensabilità rispetto alle mansioni da espletare in concreto.


Il caso.


Un'aspirante capo treno, premesso di aver superato positivamente la selezione per l'assunzione a Capo Servizio Treni, e di esser stata giudicata inidonea alle mansioni unicamente per insufficienza della statura, chiese dichiararsi il proprio diritto all'assunzione nella suddetta qualific,a con condanna della resistente al pagamento delle retribuzioni contrattualmente dovute, oltre accessori di legge.

Radicatosi il contraddittorio e sulla resistenza della parte convenuta, il Giudice adito accolse la domanda, ordinando alla società convenuta di procedere all'inserimento dell'attrice nella graduatoria utile ai fini dell'assunzione nel profilo e nelle mansioni di capo treno sin dalla data della decisone.

La decisione venne confermata anche in appello.

Secondo la corte territoriale, era incontestato il superamento da parte della ricorrente sia della fase dei test psicoattitudinali, sia di quella successiva del colloquio attitudinale e tecnico, e la sua collocazione in graduatoria in posizione utile per l'assunzione.

Parimenti incontestata era la circostanza che la stessa, a seguito di visita medica, fosse stata giudicata inidonea unicamente per il requisito dell'altezza, dovendosi quindi dare per scontata la sussistenza di tutti gli altri requisiti fisici. 

Contro tale decisione ricorreva in cassazione la società resistente.

La decisione della Cassazione.

Secondo la Corte, le fonti normative applicate dalla società resistente nell'ambito della procedura selettiva erano di grado secondario (trattandosi di atti aventi forma e contenuto di regolamenti ministeriali) e, dunque, ad entrambi i giudici del merito era consentito valutarne incidentalmente la legittimità ed eventualmente disapplicarle.

Peraltro, tale normativa, prevedendo un requisito di statura minima di cm 160 unico ed indifferenziato per uomini e donne, realizza una discriminazione indiretta a danno dei
candidati di sesso femminile, in considerazione "di una differenza fisica statisticamente e obiettivamente dipendente dal sesso".

I giudici di legittimità hanno, dunque, confermato la legittimità della sentenza resa dalla Corte territoriale, dovendo ritenersi l'esclusione della ricorrente dalla procedura di assunzione fondata su un requisito (quello staturale) non oggettivamente giustificato, né comprovato nella sua pertinenza e proporzionalità alle mansioni comportate dalla qualifica da rivestire. 

 

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