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Naturalizzazione cittadini stranieri: irrilevante il periodo di residenza effettiva.

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  La quinta sezione (bis) del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, con la sentenza n. 13815/2023, ha dichiarato che, ai fini della concessione della cittadinanza per "naturalizzazione" ai sensi dell'art. 9 comma 1, lett. f) della legge 5 febbraio 1992, n. 91, non assume rilievo il tempo trascorso dallo straniero sul nostro territorio in posizione di mera residenza abituale, ma solo quello in posizione di legalità, in quanto indicativo della piena integrazione nel tessuto nazionale da parte dell'aspirante cittadino. 

Essendo il presupposto della residenza legale accertato in conformità alla disciplina interna in materia di anagrafe, l'interessato non può provare la residenza attraverso prove diverse dalla certificazione anagrafica, ricorrendo ad indizi di carattere presuntivo o elementi sintomatici indiretti, dovendosi peraltro considerare il requisito temporale persistente e non meramente acquisito medio tempore.

  Il comportamento dello straniero residente in Italia che, dunque, si renda irreperibile per un apprezzabile periodo di tempo (pari ad un anno nella vicenda in scrutinio) anche solo a causa di una mera dimenticanza nell'osservanza degli adempimenti di legge,  incide negativamente sulle capacità di controllo e monitoraggio dell'autorità pubblica sulla popolazione effettivamente residente sul suo territorio, di modo che quel periodo di "irreperibilità" determina una soluzione di continuità con il periodo di residenza "legale" nel territorio della Repubblica sulla scorta della normativa regolamentare, di cui al D.P.R. 394/1999 ed al D.P.R. 572/1993, che appaiono immuni da vizi di irragionevolezza.

  Infatti, quanto a questo ultimo aspetto, tenuto anche conto dell'elevatissimo numero delle richieste di cittadinanza, non si può ritenere manifestamente illogica o irragionevole una previsione che disponga di ancorare la nozione di residenza legale ad un dato formale di immediato accertamento quale, appunto, le risultanze delle certificazioni anagrafiche, e ciò anche al fine di salvaguardare la speditezza e, più in generale, il buon andamento dell'azione amministrativa sancito dall'art. 97 della Carta Costituzionale.

 

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