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Medico, SC: “Anche se assolto per la morte del paziente, resta legittimo il licenziamento”

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Con la pronuncia n. 18883 dello scorso 15 luglio, la Cassazione, sezione lavoro, pronunciandosi sulla legittimità di un licenziamento intimato ad un medico per il decesso di un suo paziente, ha escluso che l'intervenuta sentenza penale di assoluzione dall'imputazione per omicidio colposo avesse rilevanza ai fini della contestazione disciplinare, posto che "con riguardo al licenziamento disciplinare, non è rilevante l'assoluzione in sede penale circa i fatti oggetto di contestazione, bensì l'idoneità della condotta a ledere la fiducia del datore di lavoro, al di là della sua configurabilità come reato, e la prognosi circa il pregiudizio che agli scopi aziendali deriverebbe dalla continuazione del rapporto" .

Il caso sottoposto all'attenzione della Corte prende avvio dal licenziamento che l'Azienda Ospedaliera di Cosenza intimava nei confronti del direttore del reparto di Urologia a seguito del decesso di un uomo che, dopo esser stato operato dal medico per un cancro alla prostata, manifestava da subito un grave peggioramento del quadro clinico, così subendo un arresto cardiaco nelle prime ore del mattino seguente l'intervento.

In particolare, si contestava al sanitario – oltre di aver mal eseguito quell'operazione, così causando la rottura di una vena otturatoria – il comportamento tenuto a seguito dell'intervento, per essersi presentato nel reparto urologia solo diverse ore dopo la chiamata degli infermieri dello stesso reparto, pur essendo nel turno di seconda reperibilità, nonché per aver ritardato, con il suo comportamento gravemente omissivo e professionalmente non etico, l'intervento chirurgico che si presentava necessario ed urgente per interrompere l'emorragia.

Il datore di lavoro qualificava tale comportamento in violazione del codice di comportamento dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni (d. m. 28 novembre 2000) e segnatamente, in violazione dei generali obblighi di diligenza e fedeltà dei lavoratori ex artt. 2104 e 2105 c.c.. 

Il Tribunale di Cosenza dichiarava la nullità del licenziamento per l'intervenuta assoluzione del medico in sede penale, in relazione all'imputazione di omicidio colposo.

La Corte di Appello di Catanzaro confermava il licenziamento, evidenziando l'autonomia tra il procedimento penale, concluso con l'assoluzione in relazione all'imputazione di omicidio colposo, e il procedimento disciplinare, la cui contestazione non consisteva nell'aver cagionato la morte del paziente.

Il sanitario, ricorrendo in Cassazione, si doleva per non aver la Corte d'Appello adeguatamente valutato l'intervenuta sentenza penale di assoluzione, che avrebbe consentito di attribuire il giusto peso disciplinare alla condotta contestata.

La Cassazione non condivide le censure formulate.

Gli Ermellini evidenziano, infatti, come nel pubblico impiego privatizzato, l'art. 55-ter del d.lgs. n. 165 del 2001 ha introdotto la regola generale dell'autonomia del procedimento disciplinare da quello penale, prevedendo che solo in casi eccezionali (quali gli illeciti di maggiore gravità, qualora ricorra il requisito della particolare complessità nell'accertamento) sia possibile accordare la sospensione del licenziamento, quale ipotesi del tutto facoltativa rimessa alla discrezionalità dell'amministrazione.

La P.A. è, pertanto, libera di valutare autonomamente gli atti del processo penale e di ritenere se essi forniscano, senza necessità di ulteriori acquisizioni e indagini, elementi sufficienti per la contestazione di illecito disciplinare al proprio dipendente. 

Si è, altresì, osservato che la contestazione disciplinare a carico del lavoratore non è assimilabile alla formulazione dell'accusa nel processo penale, assolvendo esclusivamente alla funzione di consentire all'incolpato di esercitare pienamente il proprio diritto di difesa, sicché essa va valutata in modo autonomo rispetto ad eventuali imputazioni in sede penale.

Ne deriva che, con riguardo al licenziamento disciplinare, non è rilevante l'assoluzione in sede penale circa i fatti oggetto di contestazione, bensì l'idoneità della condotta a ledere la fiducia del datore di lavoro, al di là della sua configurabilità come reato, e la prognosi circa il pregiudizio che agli scopi aziendali deriverebbe dalla continuazione del rapporto.

Con specifico riferimento al caso di specie, la Corte evidenzia come la Corte d'Appello correttamente non ha fatto discendere dall'intervenuta assoluzione il venir meno della connotazione disciplinare per gli addebiti mossi dal datore di lavoro al sanitario.

La decisione è immune da censure non solo per la ricordata autonomia tra procedimento penale e procedimento disciplinare, ma anche perché, nel caso in esame, non vi era pregiudizialità tra il procedimento penale e quello disciplinare, in quanto il fatto oggetto del processo penale non era sovrapponibile al fatto oggetto della contestazione disciplinare: il comportamento contestato all'urologo e che ne aveva determinato il licenziamento, infatti, non consisteva nell'aver procurato la morte del paziente.

In conclusione, il ricorso viene rigettato con condanna del ricorrente al pagamento delle spese del giudizio. 

 

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