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Denuncia infondata al coniuge, scatta l’addebito per denunciante

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Con l'ordinanza n. 20374, la VI sezione civile della Corte di Cassazione ha pronunciato la separazione di una coppia di coniugi addebitando la crisi del rapporto coniugale alla moglie perché la stessa, nonostante fosse consapevole dell'innocenza del marito, non si esimeva dal denunciarlo per presunti abusi sessuali commessi nei confronti della figlia. Si è quindi precisato che in tema di separazione coniugale, l'addebito della separazione è riconosciuto "in toto" in capo al coniuge che ha denunciato la realizzazione di un fatto grave in capo all'altro coniuge, nonostante la consapevolezza dell'insussistenza di tale fatto.

Sul merito della questione aveva statuito, inizialmente, il Tribunale di Bologna che, dichiarando la separazione personale dei coniugi, respingeva le reciproche domande di addebito della separazione, disponendo l'affido condiviso dei due figli e la loro residenza presso la madre, con regolazione del diritto di visita e frequentazione del padre, imponendo a suo carico, quale contributo al mantenimento dei figli, di un assegno mensile di 600 Euro oltre al 50% delle spese straordinarie purché documentate e concordate.

La Corte di Appello di Bologna, riformava parzialmente la decisione di primo grado: addebitava interamente alla moglie la separazione e disponeva un regime di coabitazione alternato dei figli presso i genitori. 

In particolare, in relazione alla pronuncia di addebito, la Corte di merito valutava decisiva, ai fini della rottura del legame di fiducia e affettività fra i coniugi, la grave circostanza posta in essere dalla moglie, la quale aveva denunciato il marito per degli abusi sessuali commessi nei confronti della figlia, nonostante la stessa fosse consapevole della insussistenza di tali fatti e delle conseguenze che il marito avrebbe subito in dipendenza della denuncia.

La moglie, ricorrendo in Cassazione, rilevava che la Corte territoriale aveva errato nella pronuncia di addebito della separazione: la donna, infatti, eccepiva come, in relazione alla statuizione dell'addebito, la motivazione fosse contraddittoria e erronea; si doleva, inoltre, perché i giudici di merito avevano pronunciato l'addebito facendo leva unicamente su un fatto verificatosi precedentemente alla riconciliazione dei coniugi.

La difesa della donna, in particolare, sottolineava come – a seguito della denuncia sporta ai danni del marito – i coniugi si fossero riappacificati e, in seguito a siffatta riappacificazione, il marito aveva assunto un comportamento che aveva determinato la fine del matrimonio e l'intollerabilità della vita coniugale.

La Cassazione non condivide le tesi difensive della ricorrente.

In materia di separazione, la parte che ne chiede l'addebito deve provare – anche facendo ricorso ad elementi indiretti ed indiziari – che la violazione degli obblighi nascenti dal matrimonio sia stata la causa, unica o prevalente e determinante, dell'intollerabilità dell'ulteriore convivenza fino a determinare la separazione. 

 Gli Ermellini evidenziano come la Corte di appello – con motivazione logica e coerente, incensurabile in sede di legittimità - abbia ampiamente motivato sull'incidenza causale della denuncia sulla rottura del legame matrimoniale e sulla perturbazione della relazione del padre con i figli; i giudici di merito hanno dato conto, altresì, dell'avvenuta riconciliazione dei coniugi arrivando a negare qualsiasi rilevanza a suddetta riappacificazione sul presupposto che, nonostante la stessa, non si fosse eliso il nesso causale tra la fine del matrimonio e il comportamento della moglie: a giudizio della Corte d'appello, l'efficacia causale fra comportamento contrario ai doveri matrimoniali e rottura dell'affectio coniugalis si è interamente e irreversibilmente prodotta con il grave comportamento posto in atto dalla moglie contro il suo coniuge.

La sentenza in commento rimarca, quindi, come la denuncia sporta dolosamente dalla ricorrente abbia costituito un vulnus non sanabile nella relazione matrimoniale, portando alla successiva crisi che ha condotto alla definitiva rottura del rapporto.

La sentenza di merito viene dunque confermata; la Cassazione dichiara inammissibile il ricorso, con condanna della ricorrente al pagamento delle spese del giudizio.

 

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