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Colpa medica, SC: “Nessuna attenuante per la pediatra che non diagnostica una polmonite”

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Con la pronuncia n. 3206 dello scorso 23 gennaio, la Cassazione ha confermato la condanna inflitta ad una pediatra – che, sottovalutando la febbre alta di un bambino, ometteva la visita domiciliare e prescriveva una generica terapia farmacologica – specificando come la tenuta condotta attendista è connotata da colpa grava in quanto "la notevole divergenza tra la condotta tenuta dall'imputata e quella cui sarebbe stata tenuta, avuto riguardo alla grave sottovalutazione delle condizioni generali e respiratorie del bambino, che avrebbero imposto la necessità di specifici riscontri mediante esami di laboratorio, escludono la possibilità la fattispecie possa essere ricondotta alla previsione decriminalizzante di cui all'art. 3 legge 8 novembre 2012, n. 189 (c.d. legge Balduzzi)".

Il caso sottoposto all'attenzione della Cassazione prende spunto dall'esercizio dell'azione penale nei confronti di una dottoressa, medico pediatra, accusata di aver colposamente cagionato il decesso di un bimbo di 17 mesi: il medico aveva omesso la visita domiciliare nonostante il bambino continuasse ad avere febbre elevata, limitandosi a prescrivere paracetamolo e ibuprofene; dopo qualche giorno, a seguito di un brusco calo della temperatura, effettuava una generica visita, concludendo la sua diagnosi per una semplice influenza, senza rendersi conto che, invece, era in corso una polmonite letale. Il bambino moriva due ore dopo l'intervenuta visita domiciliare.

La Corte di Appello di Milano, confermando la sentenza di condanna del giudice di prime cure, riteneva che la sua condotta fosse affetta da grave negligenza e imperizia, atteso che la stessa, in occasione della visita domiciliare avvenuta due ore prima del decesso, sottovalutava il quadro complessivo che aveva davanti (ometteva, infatti, di misurare la temperatura corporea, non dava rilievo all'abbassamento forzoso della temperatura, non riscontrava né alcun rumore polmonare né la comparsa di esantema petecchiale sul corpo, segno di sepsi batterica in atto) e ometteva l'immediato ricovero del piccolo. 

In particolare, secondo i giudici di secondo grado la pediatra aveva assunto un atteggiamento ingiustificatamente "attendista": il comportamento alternativo lecito avrebbe, invece, consentito di rilevare i segni di una polmonite in atto, che – se tempestivamente curata – avrebbe potuto evitare l'esito infausto.

La difesa della pediatra, ricorrendo in Cassazione, si doleva in quanto la sentenza impugnata non aveva fornito spiegazioni o argomentazioni di sorta in punto di nesso causale tre le omissioni contestate e l'evento finale, né in punto di mancato riconoscimento del decorso alternativo prospettato: in particolare la ricorrente segnalava come fosse difficile stabilire se un diverso intervento terapeutico all'esito della visita del bambino avrebbe avuto efficacia salvifica, essendosi trattato con alta probabilità di una sepsi fulminante.

Alla luce di tanto, considerate anche le oggettive difficoltà di inquadramento diagnostico della malattia, il medico evidenziava come si sarebbe dovuta applicare la causa di non punibilità di cui all'art. 3 della legge n. 189/2012 in tema di colpa lieve.

La Cassazione non condivide le censure formulate dall'imputata.

Sotto il profilo dell'accertamento dei fatti, gli Ermellini ribadiscono come legittimamente i giudici di merito abbiano valutato in termini di grave negligenza la condotta della pediatra, che, nonostante la pregressa conoscenza dell'infezione respiratoria, aveva assunto un atteggiamento ingiustificatamente "attendista"; altrettanto legittimamente si è censurata la genericità con cui il medico visitava il paziente due ore prima del suo decesso, quando erano già apprezzabili elementi tali da consigliare l'immediato invio in pronto soccorso. 

Sul piano del nesso causale, la Cassazione ritiene che le condotte omissive contestate alla dottoressa abbiano determinato le condizioni dell'evento fatale con alto o elevato grado di probabilità logica o credibilità razionale, potendosi escludere che la morte del bambino si sarebbe verificata, in relazione al medesimo processo causale, nei medesimi tempi e con la stessa gravita od intensità, se l'imputata non avesse omesso i comportamenti dovuti sul piano della migliore perizia e diligenza medica.

Difatti, gli studi scientifici hanno evidenziato che c'è un rapporto statistico secondo cui il rischio morte si riduce fortemente nei casi di pazienti aggrediti sul piano terapeutico in maniera tempestiva ed efficace: l'omessa osservazione clinica del bambino ha, quindi, impedito la stessa possibilità di formulare una corretta diagnosi e predisporre i necessari e urgenti interventi.

Per quanto attiene alla colpa lieve invocata dalla ricorrente, la Cassazione esclude che possa ricorrere nel caso di specie, in considerazione della notevole divergenza tra la condotta tenuta dall'imputata e quella cui sarebbe stata tenuta, avuto riguardo alla grave sottovalutazione delle condizioni generali e respiratorie del bambino, che avrebbero imposto la necessità di specifici riscontri mediante esami di laboratorio: va, invece, rimarcata la sussistenza di un marcato allontanamento del comportamento della dottoressa da una appropriata condotta medica, certamente qualificabile in termini di colpa grave, tale da escludere che la fattispecie in esame possa essere ricondotta alla previsione decriminalizzante di cui all'art. 3 della legge Balduzzi.

In conclusione la Cassazione rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali. 

 

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