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Assegno divorzile: va confermato all’anziana moglie che non ha mai lavorato

Assegno divorzile: va confermato all’anziana moglie che non ha mai lavorato

Con l'ordinanza n. 26682 depositata lo scorso 1 ottobre, la VI sezione civile della Corte di Cassazione ha confermato il diritto di una donna di percepire l'assegno divorzile in ragione della sua la sua incolpevole capacità lavorativa dovuta all'età ed ai sacrifici compiuti per la vita coniugale, ostativi al rientro sul mercato del lavoro.

Nel caso sottoposto all'attenzione della Cassazione, il Tribunale di Reggio Emilia pronunciava lo scioglimento del matrimonio di una coppia di coniugi, ponendo a carico del marito il pagamento di un assegno divorzile di 900 Euro mensili.

La pronuncia veniva appellata dall'uomo per ottenere la revoca dell'assegno divorzile alla luce dell'asserita autosufficienza economica della donna, tenuto conto anche che la presunzione dei suoi elevati redditi fosse rimasta priva di riscontri e contraddetta dalle dichiarazioni fiscali prodotte in giudizio.

La Corte di Appello di Salerno, sul presupposto dell'incolpevole incapacità lavorativa dell'ex moglie, confermava il diritto della donna a percepire l'assegno, ritenendo che fosse impossibile il suo rientro sul mercato del lavoro, data l'età e l'annosa inesperienza frutto di una scelta coniugale condivisa. 

Tuttavia, il Collegio diminuiva l'importo nella misura di 400,00 Euro mensili, posto che la donna era titolare di risparmi personali derivanti da una vendita immobiliare.

Ricorrendo in Cassazione, la donna censurava la decisione della Corte di merito per violazione e falsa applicazione dell'art. 5 della legge n. 898 del 1970, per aver il giudice di appello erroneamente diminuito la somma dell'assegno divorzile, senza che fossero stati adeguatamente valorizzati i sacrifici della ricorrente per le esigenze familiari.

La Cassazione non condivide le difese formulate dalla ricorrente.

I Supremi Giudici ricordano, infatti, che con il noto arresto delle Sezioni Unite del 2018 (pronuncia n. 18287/2018), si è attribuito all'assegno divorzile una funzione assistenziale ed in pari misura compensativa e perequativa, che discende direttamente dalla declinazione del principio costituzionale di solidarietà, al fine di consentire al coniuge richiedente il raggiungimento in concreto di un livello reddituale adeguato al contributo fornito nella realizzazione della vita familiare, tenendo conto delle aspettative professionali sacrificate.

In particolare, la Cassazione ha ribadito che il riconoscimento dell'assegno di divorzio in favore dell'ex coniuge richiede l'accertamento dell'inadeguatezza dei mezzi dell'ex coniuge istante, e dell'impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive: il giudizio deve essere espresso alla luce di una valutazione comparativa delle condizioni economico-patrimoniali delle parti, in considerazione del contributo fornito dal richiedente alla conduzione della vita familiare ed alla formazione del patrimonio comune, nonché di quello personale di ciascuno degli ex coniugi, in relazione alla durata del matrimonio ed all'età dell'avente diritto. 

Con specifico riferimento al caso di specie, gli Ermellini evidenziano come la sentenza impugnata – uniformandosi all'ultimo arresto delle Sezioni Unite - si sia fondata non su una mera equiparazione economica dei patrimoni dei due coniugi, bensì su una pluralità di fattori, quali le risultanze fiscali relative alla posizione economica dell'ex marito e la complessa situazione della ricorrente e, precisamente, la sua incolpevole incapacità lavorativa, dovuta all'età ed ai sacrifici compiuti per la vita coniugale, ostativi al rientro sul mercato del lavoro.

Nella quantificazione dell'assegno correttamente i giudici hanno valorizzato la funzione compensativo-perequativa dell'assegno divorzile con quella assistenziale: la sentenza impugnata, difatti, ha considerato come la donna fosse titolare di risparmi personali derivanti da una vendita immobiliare, cosicché, sebbene fosse dovuto il diritto della ricorrente all'assegno divorzile, nondimeno era da ritenersi eccessiva la somma determinata dal primo giudice.

Alla luce di tanto, la Cassazione rigetta il ricorso.

 

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