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Riflessi penali della scissione

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 Con la sentenza in commento, la n. 37326 depositata il 6 settembre scorso, la Corte di Cassazione ha esaminato un ricorso in materia di misure cautelari interdittive proposto da due imputati per reati di bancarotta e di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte.

In particolare, il difensore degli imputati aveva osservato nel ricorso per Cassazione come, seguendo le indicazioni fornite dal Tribunale del Riesame, si giungerebbe al paradosso di affermare che ogni operazione di ristrutturazione societaria (nel caso sottoposto al suo esame, di scissione) dovrebbe valutarsi negativamente, visto che è ipotesi frequente nella prassi che, in situazioni di crisi, si modifichino i modelli societari prima della cessazione o della liquidazione della società.

La Corte, dopo aver ricostruito la complessiva operazione realizzata, che aveva comportato - tra le altre cose – oltre alla scissione, la cessione del capitale sociale a prezzo vile ed il trasferimento della legale rappresentanza della società ad un prestanome, che aveva avviato le procedure della liquidazione della medesima società, ormai "vuota" di beni e attività, in quanto deprivata del patrimonio trasferito, ancorché gravata da un debito tributari pari a circa un milione e mezzo di Euro, ha analizzato le fattispecie delittuose contestate. 

Ha in particolare ricordato come la fattispecie criminosa tributaria contestata (art. 11 d.lgs. 74/00) fosse da qualificarsi come reato di pericolo concreto, integrato dall'uso di atti simulati o fraudolenti per occultare i propri o altrui beni, idonei a pregiudicare, secondo un giudizio ex ante, l'attività recuperatoria della amministrazione finanziaria. Oggetto giuridico del reato, pertanto, non è il diritto di credito dell'Erario, bensì la garanzia generica rappresentata dai beni dell'obbligato, potendosi, pertanto, configurare il reato anche nel caso in cui, dopo il compimento degli atti fraudolenti, si verifichi comunque il pagamento dell'imposta e delle relative sanzioni.

Quanto alla condotta del reato – che consiste nel porre in essere "atti fraudolenti" - ha rilevato che è da considerarsi integrata in ogni comportamento che, formalmente lecito, sia tuttavia caratterizzato da una componente di artifizio o di inganno, ovvero in qualunque stratagemma artificioso tendente a sottrarre le garanzie patrimoniali alla riscossione. 

Infine, facendo alle eccezioni difensive che ponevano l'accento sulla solidarietà per debiti del cedente con il cessionario al fine di dimostrare l'inoffensività della condotta, ha rilevato come la solidarietà della società cedente sia comunque limitata al valore effettivo del patrimonio netto attribuito a ciascuna società beneficiaria, ai sensi dell'art. 2506 bis c.c., comma 3 e art. 2506 quater c.c., comma 3; mentre con particolare riferimento ai debiti tributari, ha ricordato come solo l'accertamento della natura simulata della cessione avrebbe reso applicabile la disciplina derogatoria prevista dal D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 14, con conseguente dilatazione dei tempi tecnici per i relativi accertamenti nelle competenti sedi giudiziarie.

Ha pertanto rigettato i ricorsi e condannato i ricorrenti al pagamento delle spese del procedimento 

 

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