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Paziente non si presenta ai controlli: “No al risarcimento dei danni per l’errata terapia praticatele”

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Con l'ordinanza 27612 dello scorso 3 dicembre, la VI sezione civile della Corte di Cassazione ha negato il risarcimento dei danni domandato da una donna per l'ictus cardio embolico seguito all'assunzione di una terapia anticoagulante prescritta in ospedale, evidenziando come il nesso causale si fosse interrotto a causa della scelta, liberamente presa dalla paziente, di non recarsi ai controlli programmati per verificare i suoi valori INR e di adeguare agli stessi la terapia.

Si è difatti statuito che "nei giudizi di risarcimento del danno da responsabilità medica, è onere del paziente dimostrare l'esistenza del nesso causale, provando che la condotta del sanitario è stata, secondo il criterio del "più probabile che non", causa del danno, sicché, ove la stessa sia rimasta assolutamente incerta, la domanda deve essere rigettata".

Il caso sottoposto all'attenzione della Cassazione prende avvio dalla domanda avanzata da una donna avverso A.S.L. di Lecce per ottenere il risarcimento dei danni che assumeva per aver subito a causa di trattamenti sanitari inadeguati che le erano stati praticati presso un ospedale del distretto.

In particolare, la donna eccepiva che – a causa dell'errata terapia farmacologica somministratele, basata su farmaci anticoagulanti – aveva subito un «ictus cardio embolico», senza che avesse ricevuto una adeguata informazione sui rischi connessi alla non corretta attuazione della terapia e dei controlli prescritti. 

 Sia il Tribunale di Lecce che la Corte di Appello di Lecce rigettavano la domanda, escludendo che la condotta dai sanitari potesse considerarsi causa dell'«ictus cardio embolico» occorso alla paziente.

A tal riguardo, i giudici rimarcavano come – sino all'ultimo controllo effettuato dalla donna in ospedale - la terapia anticoagulante prescritta dai medici era stata corretta; successivamente, tuttavia, la donna ometteva di recarsi al controllo programmato per verificare i suoi valori INR e di adeguare agli stessi la terapia.

Essendo l'«ictus cardio embolico» sopravvenuto dodici giorni dopo il mancato controllo, i giudici di merito ritenevano che l'evento fosse causalmente riconducibile esclusivamente all'omissione del suddetto controllo e quindi imputabile integralmente alla condotta della stessa paziente.

Ricorreva in Cassazione la paziente, denunziando la violazione delle norme inerenti la responsabilità contrattuale dei sanitari e, in particolare, delle norme relative all'accertamento del nesso di causa tra la condotta dei sanitari che avevano prescritto farmaci anticoagulanti e l'evento di «ictus cardio embolico».

 La Cassazione non condivide le argomentazioni della ricorrente, evidenziando come le stesse mirino in contestazioni di insindacabili accertamenti di fatto operati in sede di merito e nella richiesta di nuova e diversa valutazione della prova, il che non è ammissibile nel giudizio di legittimità.

I Supremi Giudici premettono che nei giudizi di risarcimento del danno da responsabilità medica, è onere del paziente dimostrare l'esistenza del nesso causale, provando che la condotta del sanitario è stata, secondo il criterio del "più probabile che non", causa del danno, sicché, ove la stessa sia rimasta assolutamente incerta, la domanda deve essere rigettata.

Con specifico riferimento al caso di specie, gli Ermellini evidenziano come la sentenza impugnata si è attenuta al suesposto principio relativo all'accertamento del nesso causale in tema di responsabilità contrattuale della struttura sanitaria, escludendo che la condotta dei sanitari potesse considerarsi causa dell'evento lamentato dalla paziente, per essersi il nesso causale interrotto dalla scelta – liberamente presa dalla donna – di non recarsi al controllo prescritto, così impedendo ai sanitari di poter compiere i dovuti accertamenti.

Ciò posto, la sentenza in commento rileva come i giudici di merito abbiano correttamente valutato i fatti storici principali emergenti dagli elementi istruttori acquisiti, giungendo ad una motivazione adeguata, non apparente né insanabilmente contraddittoria sul piano logico, come tale non sindacabile nella presente sede.

La Corte rigetta quindi il ricorso, con condanna della ricorrente alle spese del giudizio di legittimità e al versamento dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

 

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