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Omicidio colposo, SC: “Se il giudice motiva contraddittoriamente sull’esistenza del nesso causale, il medico va assolto”

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Con la sentenza n. 36435 dello scorso 27 agosto, la III sezione penale della Corte di Cassazione, ha riformato la sentenza di condanna inflitta ad un sanitario che aveva ritardato la diagnosi di un carcinoma in quanto la Corte di appello, nel discostarsi dalle risultanze della ctu, non aveva dato una logica e corretta spiegazione del fatto che, ove l'imputato avesse posto in essere l'azione diagnostica e terapeutica colposamente omessa, l'andamento della malattia sino al suo esito letale avrebbe subito significative variazioni rispetto all'andamento in concreto tenuto.

Il caso sottoposto all'esame della Cassazione prende avvio dall'esercizio dell'azione penale nei confronti di un medico in servizio al PS di un nosocomio, imputato del reato di cui all'art. 589 c.p. per il decesso di una signora di cui era stato incaricato della sorveglianza sanitaria, avendola avuta in cura durante una serie di visite per una tumefazione mammaria al seno destro in progressivo aumento.

In particolare, al medico si addebitava di non aver, per imperizia, imprudenza e negligenza, tempestivamente effettuato l'esame citologico del liquido aspirato dalla mammella, così ritardando la diagnosi precoce di carcinoma mammario e i necessari approfondimenti diagnostici che, se fossero stati espletati nell'immediato, avrebbero consentito di giungere alla effettuazione di una diversa terapia chirurgica più efficace e meno invasiva rispetto a quella espletata a distanza di otto mesi dall'insorgenza dei primi sintomi della malattia, contribuendo a provocare le condizioni per l'insorgenza di complicanze nella malattia culminate nel decesso della donna.

Nel corso del giudizio di merito, l'imputato veniva assolto in quanto – riconosciuta la grave omissione – non si giungeva a un risultato certo circa la guarigione nel caso in cui si fosse tenuta la condotta doverosa omessa: sia i periti di parte che quelli nominati dal giudice escludevano, infatti, che una differente condotta dell'imputato avrebbe avuto esiti meno infausti per la paziente.

La Cassazione, annullando la sentenza assolutoria, rinviava la causa alla Corte di appello di Milano, in diversa composizione affinché motivasse, sulla base di studi epidemiologici condivisi dalla comunità scientifica, circa l'inevitabilità dell'evento morte anche nel caso in cui alla paziente fossero state somministrate le cure adeguate. 

La Corte di Appello, giudicando in sede di rinvio da annullamento disposto dalla Corte di Cassazione, riformava la sentenza di assoluzione emessa dalla Corte di appello due anni prima.

Il sanitario ricorreva in Cassazione, evidenziando inosservanza e/o erronea applicazione della legge penale con riferimento agli artt. 40, 41 e 43 c.p., rilevando come, nel caso di specie, non si era raggiunta la necessaria prova certa circa la sussistenza del nesso causale, essendo, la motivazione della sentenza impugnata, incentrata su valutazioni affidate a criteri meramente probabilistici; la Corte, inoltre, aveva omesso di valorizzare adeguatamente le conclusioni negative raggiunte dai periti nominati dal giudice di primo grado e dai consulenti d'ufficio nominati nella parallela causa civile, con immotivata preferenza per le valutazioni, di carattere prettamente statistico, espresse dal consulente della parte civile.

La Cassazione condivide la doglianza del ricorrente.

La Corte premette come, a partire dal noto arresto Franzese, il rapporto di causalità è configurabile in quanto si accerti – sulla scorta di un giudizio controfattuale – che, ipotizzandosi come avvenuta l'azione che sarebbe stata doverosa ed esclusa l'interferenza di decorsi causali alternativi, l'evento, con elevato grado di credibilità razionale, non avrebbe avuto luogo ovvero avrebbe avuto luogo in epoca significativamente posteriore o con minore intensità lesiva; l'insufficienza, la contraddittorietà e l'incertezza del nesso causale tra condotta ed evento, e cioè il ragionevole dubbio, in base all'evidenza disponibile, sulla reale efficacia condizionante dell'omissione dell'agente rispetto ad altri fattori interagenti nella produzione dell'evento lesivo comportano l'esito assolutorio del giudizio. 

Con specifico riferimento al caso di specie, i periti nominati dal giudice erano giunti alla conclusione secondo cui anche una diagnosi tempestiva di quella tipologia di tumore non avrebbe influito in modo apprezzabile né sull'evoluzione della patologia né sull'esito letale e sulle aspettative di vita della paziente. Analogamente i consulenti d'ufficio nominati in sede civile avevano riferito che, anche qualora la diagnosi di malattia fosse stata formulata all'atto del primo contatto con l'imputato, nondimeno la paziente sarebbe stata sottoposta ad un percorso terapeutico in tutto sovrapponibile a quello avviato successivamente e che, alla luce della casistica più numerosa riportata in letteratura, una anticipazione diagnostica non avrebbe condotto "ad alcun sostanziale vantaggio prognostico in termini di sopravvivenza".

La sentenza impugnata, tuttavia, dando credito al ragionamento dei consulenti di parte civile – secondo cui ove l'imputato avesse posto in essere l'azione diagnostica e terapeutica colposamente omessa, l'andamento della malattia sino al suo esito letale avrebbe subito significative variazioni rispetto all'andamento in concreto tenuto – giungeva a condannare il sanitario.

La Cassazione evidenzia come, se è vero che il giudice può scegliere, tra le varie tesi prospettate dai periti e dai consulenti di parte, quella che maggiormente ritiene condivisibile, deve però illustrare le ragioni della scelta operata, con un percorso logico congruo, tanto più in quanto la scelta comporti la adesione alle conclusioni del consulente di parte e non del perito: la sentenza impugnata, invece, ha ritenuto di dare prevalenza ai dati offerti dal consulente di parte sulla base di un percorso non logico ed anche contraddittorio.

Più nel dettaglio – proprio perché nella valutazione della sussistenza del nesso causale, ai fini dell'assoluzione dell'imputato, è sufficiente il solo serio dubbio, in seno alla comunità scientifica, sul rapporto di causalità tra la condotta e l'evento – la sentenza impugnata doveva spiegare in termini logici e coerenti perché le conclusioni della perizia civile e del ctu fossero inattendibili, con preferenza delle conclusioni opposte raggiunte dal consulente della parte civile.

La Cassazione accoglie il ricorso e annulla la sentenza impugnata. 

 

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