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Emotrasfusioni, prescrizione: occorre aver conoscenza della genesi causale della malattia

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Con l'ordinanza n. 14480 dello scorso 9 luglio, la VI sezione civile della Corte di Cassazione ha fornito importanti precisazioni sul termine di decorrenza della prescrizione per il risarcimento dei danni conseguenti ad infezioni da virus HCV contratte a seguito di emotrasfusioni, specificando che occorre che il paziente conosca non solo l'esistenza della malattia, ma anche la sua genesi causale.

Si è quindi chiarito che "l'accertamento del momento in cui ad un paziente viene resa nota l'esistenza della sua malattia, da solo, non è sufficiente per desumerne che a partire da quel momento il paziente sia anche consapevole della causa della malattia. Pertanto, in mancanza di ulteriori elementi, l'exordium praescriptionis del diritto al risarcimento del danno consistito nella contrazione di una malattia infettiva, causata da un fatto illecito, non può farsi decorrere dal momento della sola comunicazione al paziente dell'esistenza della malattia".

Una donna citava in giudizio il Ministero della Salute per il risarcimento dei danni patiti da contagio HCV a seguito di una emotrasfusione effettuata nel 1983.

Sia il Tribunale di Milano che la Corte d'appello di Milano rigettavano la domanda: accogliendo l'eccezione di prescrizione sollevata dal Ministero della salute, i giudici ritenevano che il contagio fosse avvenutonel 1983, che il primo atto interruttivo fosse stato compiuto del 2012 e che la vittima, sin dal 1997, aveva avuto piena contezza della malattia e della sua origine trasfusionale.

In particolare, secondo la Corte di Appello l'attrice sin dal 1997era consapevole del danno lamentato e della sua riferibilità alle trasfusioni di sangue praticatole nel 1983 in quanto già a partire dal 1993 alla donna avevano diagnosticato un innalzamento lieve delle transaminasi; le successive indagini compiute a partire dal 1997 avevano rilevato la presenza di anticorpi anti-HCV, la presenza del genoma virale HCV-RNA e degli anticorpi anti-HCV. 

Avverso tale sentenza ricorreva in Cassazione la paziente deducendo la violazione degli artt. 2043, 2935 e 2947 c.c.. per aver la Corte d'Appello erroneamente ritenuto che la semplice conoscenza dell'esistenza d'una malattia fosse di per sé sufficiente a far decorrere la prescrizione del diritto al risarcimento del danno nei confronti di chi quella malattia aveva causato.

A tal fine si rilevava che il diritto al risarcimento del danno patito in conseguenza di una emotrasfusione con sangue infetto, come in tutti i casi di danni cosiddetti "a decorso occulto", decorreva non dal momento in cui il danno si era concretamente verificato, ma dal momento in cui il danneggiato poteva percepirne da un lato l'esistenza, e dall'altro la sua riconducibilità al fatto ingiusto commesso da un terzo.

Nel caso di specie la ricorrente evidenziava come – sebbene si fosse sottoposta a degli esami che avevano evidenziato alterazione di taluni valori ematici – tale circostanza non era di per sé sufficiente ad integrare la consapevolezza necessaria circa l'esistenza di un danno ingiusto, e di conseguenza a far scattare il decorso del termine di prescrizione: difatti, il contagio da lei contratto aveva avuto un andamento silente per lunghi anni e solo nel 2008 – in occasione di una precipitazione della situazione clinica – era venuta ufficialmente a conoscenzadi essere ammalata di epatite "C" e che la causa della malattia era stata la trasfusione cui si era sottoposta 25 anni prima.

La Cassazione condivide le censure formulate dalla ricorrente.

In punto di diritto, la Corte ricorda come, per pacifica giurisprudenza, nel caso di danni a decorso occulto, l'exordium praescriptionis va individuato nel momento in cui il danneggiato, con l'ordinaria diligenza esigibile dal cittadino medio, sia in grado di avvedersi non solo dell'esistenza del danno, ma anche della sua derivazione causale dalla condotta illecita d'un terzo. 

In particolare, la Corte ricorda che l'accertamento del momento in cui ad un paziente viene resa nota l'esistenza della sua malattia, da solo, non è sufficiente per desumerne che a partire da quel momento il paziente sia anche consapevole della causa della malattia. Pertanto, in mancanza di ulteriori elementi, l'exordium praescriptionis del diritto al risarcimento del danno consistito nella contrazione di una malattia infettiva, causata da un fatto illecito, non può farsi decorrere dal momento della sola comunicazione al paziente dell'esistenza della malattia.

La Cassazione ritiene, pertanto, che la Corte Territoriale abbia prestato un ossequio solo apparente a tale principio e sia, di contro, incorsa nel denunciato vizio di falsa applicazione dell'art. 2935 c.c..

Secondo la Corte d'appello, infatti, l'attrice già dal 1997 era consapevole del danno lamentato e della sua riferibilità alle trasfusioni di sangue praticatele nel 1983, in quanto, a seguito di alcuni accertamenti compiuti già dal 1993, ben sapeva che sino al 1994 aveva avuto un alto livello di transaminasi e che dal 1997 aveva sviluppato anticorpi anti-HCV.

Gli Ermellini evidenziano, tuttavia, come tali dati – sebbene certamente consentono di affermare che la paziente fosse a conoscenza di essere ammalata – cionondimeno non altrettanto dimostrano che la paziente, oltre a sapere di essere ammalata, sapesse anche, o potesse sapere con l'uso dell'ordinaria diligenza, che causa della malattia fosse stata la trasfusione eseguita nel 1983: difatti, nessuno dei documenti elencati nella sentenza, lascia intravedere o supporre che a quelle diagnosi avesse fatto seguito anche la sicura possibilità, per la paziente, di collegare tali sintomi con la trasfusione del 1983.

In virtù di tanto, la Corte accoglie il ricorso e cassa la sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione della Corte d'Appello di Milano, in diversa composizione, che deciderà sul merito della controversia e sulle spese del giudizio di Cassazione. 

 

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