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Condono edilizio, i limiti legali non possono essere raggirati frazionando le istanze

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 Con la sentenza n. 25989 dello scorso 12 giugno, la III sezione penale della Corte di Cassazione, ha rigettato la domanda di una coppia di coniugi che, nel presentare una duplice istanza di concessione in sanatoria, chiedeva il condono per l'abuso edilizio realizzato su un edificio di rilevante soglia volumetrica, sul presupposto che "il riferimento oggettivo all'unicità della nuova costruzione interamente abusiva impedisce che il limite di 750 metri cubi possa essere aggirato mediante il frazionamento delle sue singole parti, altrimenti si eluderebbe la finalità della legge che è quella di sanare abusi modesti.".

Il caso sottoposto all'attenzione della Cassazione prende spunto dall'esercizio dell'azione penale nei confronti di una coppia di coniugi, in regime di comunione dei beni, condannati dalla Pretura di Napoli per il reato di abuso edilizio unitario in relazione alla costruzione di un edificio a due piani nel quale abitavano.

I due coniugi presentavano due autonome istanze di concessione in sanatoria ciascuna delle quali interessava una volumetria inferiore a mq. 750 come previsto dalla legge 724 del 1994 e, ottenuta la sanatoria, chiedevano la revoca dell'ingiunzione a demolire l'immobile abusivo.

Il Tribunale di Napoli, preso atto dell'intervenuto provvedimento di condono, rilasciato dal Comune evidenziava che quel condono era stato esercitato in violazione della legge e segnatamente dell'art. 39 della legge n. 724 del 1994. Il Giudicante sosteneva, infatti, che i due coniugi avrebbero dovuto proporre una unica istanza di condono unitaria, in quanto quelle separatamente presentate dai coniugi per le separate unità di un unitario edificio dovevano essere considerate come poste in essere ai fini di eludere la disposizione di legge indicata.

Ricorrendo in Cassazione, la difesa dei coniugi chiedeva la revoca dell'ordinanza di demolizione deducendo l'inosservanza e l'erronea applicazione dell'art. 39 della legge n. 724 del 1994, comma 1, legge n. 724 del 1994, in ordine alla individuazione dei soggetti legittimati a presentare la domanda di concessione in sanatoria e al conseguente superamento della soglia volumetrica.

 In particolare, sostenevano che il Comune aveva rilasciato due concessioni edilizie in sanatoria proprio perché l'articolo 39, in relazione alla determinazione dei limiti dimensionali dell'immobile, avrebbe ricollegato la determinazione della soglia volumetrica alle singole richieste di concessione in sanatoria presentate dai coniugi, da ritenersi, ciascuno, soggetto legittimato a presentare autonoma domanda in sanatoria, con conseguente rispetto della soglia.

La Cassazione non condivide le censure formulate.

In punto di diritto gli Ermellini ricordano che, nel caso di rilascio di concessione edilizia in sanatoria, il giudice ha il potere-dovere di verificare la legittimità del permesso di costruire in sanatoria sotto il profilo del rispetto dei presupposti e dei requisiti di forma e di sostanza richiesti dalla legge per il corretto esercizio del potere di rilascio.

A tale riguardo va rammentato che l'art. 39, comma 1, legge 724/1994, prevede la possibilità di ottenere la concessione edilizia in sanatoria cd. speciale per le opere abusive ultimate entro il 31 dicembre 1993, e che siano relative a nuove costruzioni non superiori ai 750 metri cubi per singola richiesta di concessione edilizia.

La giurisprudenza ha specificato che ogni edificio deve intendersi come un complesso unitario che fa capo ad un unico soggetto legittimato e le istanze di oblazione eventualmente presentate in relazione alle singole unità che compongono tale edificio devono esser riferite ad una unica concessione in sanatoria; diversamente opinando, infatti, verrebbe frustata la ratio della norma ovvero di evitare l'elusione del limite legale di consistenza dell'opera per la concedibilità della sanatoria.

 La stessa Corte costituzionale (Sentenza n. 302 del 1996), ha specificato che il limite dei 750 metri cubi trova un temperamento solo nelle nuove costruzioni, permettendo di calcolare la volumetria per singola richiesta di concessione edilizia in sanatoria, nei casi in cui la domanda di sanatoria sia stata legittimamente scissa per effetto della suddivisione della costruzione o della limitazione quantitativa del titolo che abilita la presentazione della domanda di sanatoria: solo in tali casi di deroga (ad esempio, proprietà di parte della costruzione a seguito di alienazione o di singole opere da sanare,titolarità di diritto di usufrutto o di abitazione, titolarità di diritto personale di godimento) ciascuno dei soggetti abilitati può presentare la domanda di sanatoria per le porzioni di immobile per le quali è legittimato; al di fuori di tali ipotesi, la concessione edilizia deve essere necessariamente unica per tutte le opere riguardanti un edificio o un complesso unitario, sicché lo stesso soggetto legittimato non può utilizzare separate domande di sanatoria per aggirare il limite di volumetria previsto dall'art. 39, in tal caso, primo comma, della legge n. 724 del 1994, dovendosi, necessariamente unificare le richieste quando si tratti della medesima nuova costruzione da considerarsi in senso unitario.

Dunque, il  riferimento oggettivo all'unicità della nuova costruzione interamente abusiva impedisce che il limite di 750 metri cubi possa essere aggirato mediante il frazionamento delle sue singole parti, altrimenti si eluderebbe la finalità della legge che è quella di sanare abusi modesti.

Con specifico riferimento al caso di specie, il Tribunale di Napoli, preso atto dell'intervenuto provvedimento di condono, rilasciato dal Comune – nell'esercizio del potere dovere di controllo della legittimità dell'atto amministrativo, sotto il profilo del corretto esercizio del potere di rilascio – ha congruamente argomentato che vi era stato superamento dei limiti per la concedibilità in sanatoria in relazione all'unico complesso edilizio realizzato dagli imputati, evidenziando altresì che quel condono era stato esercitato in violazione della legge e segnatamente dell'art. 39 della legge n. 724 del 1994.

In conclusione la Cassazione rigetta il ricorso, condannando i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

 

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