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Aumento dell’assegno di mantenimento, Cassazione: “Nessun obbligo motivazionale sulla differente valutazione rispetto al primo grado ”

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Con l'ordinanza n. 22408 dello scorso 15 luglio, la VI sezione civile della Corte di Cassazione ha confermato la congruità dell'importo di un assegno di mantenimento disposto dal giudice di appello in aumento rispetto a quanto stabilito dal Tribunale, escludendo che i giudici del secondo grado dovessero dar conto della differenza di valutazione rispetto alla diversa più esigua determinazione del contributo al mantenimento compiuta in primo grado dal Tribunale.

Gli Ermellini hanno difatti precisato che "la congruità della motivazione della sentenza del giudice di appello deve essere verificata con esclusivo riguardo alle questioni che sono state sottoposte al medesimo, e dallo stesso risolte per decidere la controversia, restando ad essa del tutto estranea la decisione eventualmente diversa che sia stata adottata dal giudice di primo grado, interamente travolta ed assorbita da quella emessa, in sua sostituzione, dal giudice di appello il quale compie la valutazione diretta del materiale probatorio messo a disposizione dalle parti, nell'ambito delle questioni sottopostegli dai motivi d'impugnazione, senza obbligo di puntuale confutazione dei singoli punti della sentenza di primo grado".

Nel caso sottoposto all'attenzione della Corte, il Tribunale di Genova, nel pronunciare la separazione di una coppia di coniugi, obbligava il marito al versamento in favore della moglie di un assegno mensile dell'importo di Euro 1.200. 

 La Corte di appello di Genova, in parziale riforma della decisione di primo grado, aumentava l'importo dell'assegno di mantenimento a Euro 2.000 mensili, ritenendo come dall'esame comparativo dei rispettivi patrimoni e redditi emergesse una consistente disparità tra i coniugi, essendo la moglie titolare solo di alcuni cespiti di modesto valore e redditività, mentre il marito era titolare di un rilevante patrimonio immobiliare e disponeva di un reddito elevato, documentato fiscalmente in 100.000,00 annui lordi.

Ricorrendo in Cassazione, il marito censurava la decisione per motivazione apparente in ordine alla determinazione del quantum dell'assegno di mantenimento a favore della moglie.

Sul punto, il ricorrente ribadiva l'insussistenza del diritto della moglie ad ottenere l'assegno di mantenimento e eccepiva come nella sentenza impugnata mancasse una "argomentazione, critica o ragionamento" che desse conto della differenza di valutazione rispetto alla diversa più esigua determinazione del contributo al mantenimento compiuta in primo grado dal Tribunale.

La Cassazione non condivide la posizione del ricorrente.

 Gli Ermellini ricordano come la congruità della motivazione della sentenza del giudice di appello deve essere verificata con esclusivo riguardo alle questioni che sono state sottoposte al medesimo, e dallo stesso risolte per decidere la controversia, restando ad essa del tutto estranea la decisione eventualmente diversa che sia stata adottata dal giudice di primo grado, interamente travolta ed assorbita da quella emessa, in sua sostituzione, dal giudice di appello il quale compie la valutazione diretta del materiale probatorio messo a disposizione dalle parti, nell'ambito delle questioni sottopostegli dai motivi d'impugnazione, senza obbligo di puntuale confutazione dei singoli punti della sentenza di primo grado.

In relazione al caso di specie, la Cassazione evidenzia come sia irrilevante che la Corte di merito abbia mancato di misurarsi con la sentenza di primo grado, posto che la sentenza impugnata è pervenuta alla decisione dell'aumento del contributo posto a carico dell'uomo valorizzando plurime circostanze: l'età avanzata della moglie, che rendeva difficile l'inserimento del mondo lavorativo, pur avendo la stessa acquisito una certa professionalità nel corso della pluriennale collaborazione prestata nello studio dentistico del marito; le precarie condizioni di salute della stessa moglie, documentate in atti; la mancanza di una propria abitazione, vivendo la donna tuttora nella casa coniugale; il notevole contributo da questa portato alla formazione del patrimonio del marito; l'accertato elevato tenore di vita dei coniugi in costanza di matrimonio; la rilevante sperequazione economico-patrimoniale della coppia.

In conclusione, la Cassazione rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità e al versamento dell'importo a titolo di contributo unificato pari a quello stabilito per il ricorso.

 

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