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Utilizzabile l’intercettazione tra avvocato ed imputato se si tratta di “colloquio amichevole"

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 I Giudici della Seconda Sezione Penale della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 24451 del 30 maggio 2018, hanno affermato il principio secondo cui, quando il colloquio tra l'imputato e l'avvocato, è avvenuto in forma confidenziale è sempre utilizzabile la relativa intercettazione .

E' bene ricordare che l'art. 103 c.p.p. comma 5 stabilisce che "Non è consentita l'intercettazione relativa a conversazioni o comunicazioni dei difensori, degli investigatori privati autorizzati e incaricati in relazione al procedimento, dei consulenti tecnici e loro ausiliari, né a quelle tra i medesimi e le persone da loro assistite".

 Nel caso di specie un imputato chiamato a rispondere del reato di estorsione, aveva proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte di Appello che aveva confermato la sentenza emessa dal giudice di primo grado con la quale lo stesso era stato condannato. La motivazione della sentenza impugnata si fondava proprio sulla prova della colpevolezza rappresentata dal colloquio confidenziale intercettato tra l'avvocato e l'imputato.

Con il ricorso in Cassazione la difesa dell'imputato deduceva con il primo motivo l'inutilizzabilità dei contenuti della intercettazione intercorsa tra l'imputato e l'avvocato in quanto tale conversazione, diversamente da quanto sostenuto dai giudici di merito, non aveva contenuto amicale, ma professionale. Mentre col secondo motivo deduceva che il fatto contestato era stato erroneamente qualificato come estorsione, laddove invece si sarebbe dovuto qualificare nella fattispecie prevista dall'art. 393 c.p.. (esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza alle persone)

 Motivi della decisione

I giudici di legittimità hanno precisato che il divieto di intercettazioni relativo a conversazioni o comunicazioni dei difensori, non riguarda indiscriminatamente tutte le conversazioni di chi riveste tale qualifica, ma solo le conversazioni che attengono alla funzione esercitata. Infatti la "ratio" che sta a fondamento della regola di cui all'art. 103 c.p.p. va individuata nel rispetto della tutela del diritto di difesa dell'indagato.

Nell'ipotesi in cui la intercettazione abbia per oggetto un colloquio tra persone legate da un rapporto amichevole, ai fini della sua utilizzabilità, la Corte ha ritenuto necessario che il giudice del merito dovesse valutare: a) se quanto detto dall'indagato fosse finalizzato ad ottenere consigli difensivi professionali o non costituisse piuttosto una mera confidenza fatta all'amico; b) se quanto detto dall'avvocato avesse natura professionale oppure consolatoria ed amicale a fronte delle confidenze ricevute (Cass. sez. 2, n. 26323 del 29/05/2014 - dep. 18/06/2014, P.M. in proc. Canestrale, Rv. 259585).

Nel caso di specie i giudici della Seconda Sezione hanno ritenuto di confermare la sentenza impugnata, in quanto i giudici di merito di entrambi i gradi di giudizio, avevano accertato che la conversazione intercettata non avesse un contenuto professionale ma amicale.

Con riferimento al secondo motivo lo stesso è stato dichiarato inammissibile dai giudici della Corte in quanto in evidente contrasto con i principi consolidati dalla giurisprudenza di legittimità (Cass. sez. 2 n. 11453 del 17/02/2016, Rv. 267123; Cass. Sez. 2 n. 5092 del 20/12/2017dep. 2018, Rv. 272017) che hanno delineato con chiarezza i confini tra le due fattispecie di reato.

Per tali motivi il ricorso proposto è stato dichiarato inammissibile.

Si allega sentenza.

 

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