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Tutelabile il valore storico dell’attività di ristorazione

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Secondo l'adunanza plenaria del Consiglio di Stato (Cons. di Stato Ad. Plen., sent. n. 5/23), il bene culturale può essere sottoposto al vincolo di destinazione d'uso quando il provvedimento risulti funzionale alla conservazione della integrità materiale della cosa o dei suoi caratteri storici o artistici, sulla base di una adeguata motivazione, da cui risulti l'esigenza di prevenire situazioni di rischio per la conservazione dell'integrità materiale del bene culturale o del valore immateriale nello stesso incorporato. Tale vincolo di destinazione d'uso può essere imposto a tutela di beni che sono espressione di identità culturale collettiva, non solo per disporne la conservazione sotto il profilo materiale, ma anche per consentire che perduri nel tempo la condivisione e la trasmissione della manifestazione culturale immateriale, di cui la cosa contribuisce a costituirne la testimonianza.

L'orientamento è stato espresso in riferimento ad una vicenda che ha visto coinvolta una società che gestiva un noto ristorante, situato all'interno di un edificio dichiarato di interesse storico ed artistico, la quale aveva ricevuto la disdetta del contratto d'affitto del locale destinato all'attività di ristorazione. 

 La società aveva inviato un'istanza al Ministero per i beni culturali affinché avviasse un procedimento volto alla dichiarazione di interesse culturale sia del locale ristorante che degli elementi e degli arredi conservati al suo interno.

Il Ministero, aveva avviato il procedimento richiesto e, all'esito, non solo aveva dichiarato, ai sensi dell'art. 10, comma 3, lett. d) D.Lgs. 22 gennaio 2004, l'interesse particolarmente importante di cose materiali - che aveva individuato sia in un'unità immobiliare all'interno di un edificio, sia nelle opere e negli elementi di arredo conservati al suo interno – ma aveva altresì:

- valorizzato l'attività commerciale in esso esercitata, tutelando l'immobile in quanto "ristorante";

- evidenziato un interesse culturale per "riferimento" a specifici fatti ed eventi riguardanti la storia, artistica e culturale, della comunità nazionale e locale di cui la cosa tutelata ha costituito la sede o reca testimonianza;

- applicato anche i principi enunciati dall'art. 7 bis del D. Lgs. n. 42/04 in materia di "espressione di identità culturale collettiva", a sua volta recante un rinvio alle Convenzioni Unesco in materia di "patrimonio cultuale immateriale";

- individuato l'esigenza di garantire la conservazione, oltre che degli aspetti architettonici e decorativi, dell'immobile, anche della "continuità d'uso" esplicata negli aspetti legati alla tradizione culturale di convivialità del locale.

Il provvedimento era stato impugnato dalla società locataria ed il TAR, ritenendolo in contrasto con l'art. 11, comma 1, lett. b) e 51, D.Lgs. n. 42/2004, lo aveva annullato.

La sesta sezione del Consiglio di stato, investita dell'appello, rilevati i contrasti giurisprudenziali e la massima importanza delle questioni prospettate, aveva rimesso la decisione all'adunanza plenaria in funzione nomofilattica.

L'adunanza plenaria, dopo alcune considerazioni generali sul patrimonio culturale e sulle espressioni di identità culturale collettiva, ha affermato che la nozione di bene culturale, in una visione dinamica e moderna, deve essere intesa in senso ampio, ossia tanto quale res quae tangi possunt, quanto come un quid pluris di carattere immateriale.

Alla maggior ampiezza del significato, deve dunque corrispondere la maggiore estensione possibile delle forme di tutela, che tengano conto sia della dimensione materiale del bene che di quella immateriale.

Secondo l'adunanza plenaria, qualora un bene abbia il valore che gli è proprio anche per il collegamento con una determinata attività, la sola conservazione del bene materiale mediante il provvedimento di vincolo non è sufficiente per la sua adeguata protezione, in quanto la destinazione a un uso incompatibile o diverso da quello cui esso è stato nel tempo stabilmente

destinato finirebbe per obliterare proprio il valore storico-culturale che è alla base del provvedimento di vincolo, vanificando gli interessi pubblici che ne sono alla base.

Sì dunque al vincolo di destinazione d'uso, ma attenzione, perché i giudici di palazzo Spada hanno specificato che tale vincolo di destinazione può operare soltanto sul piano oggettivo, regolando l'uso della res, senza disporre alcun obbligo di prosecuzione dell'attività svolta, né la riserva di una tale attività (a prescindere dagli accordi conclusi tra le parti) in favore di un particolare gestore. 

 

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