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Con la sentenza n. 295 dello scorso 24 febbraio, il Tar Toscana, sede di Firenze, sezione IV, ha annullato un provvedimento di diniego dell'istanza di rinnovo del porto d'armi ad uso sportivo, motivato in considerazione dell'esistenza, a carico dell'istante, di una condanna, inflitta a seguito di patteggiamento.
Il Collegio ha, difatti, ricordato che, in materia di diniego del rinnovo o la revoca del porto d'armi "ai fini del giudizio di inaffidabilità, l'Amministrazione nonlimitarsi a richiamare una precedente condanna in relazione alla quale è stato lo stesso Legislatore a prevedere espressamente che quest'ultima non può avere "efficacia e non può essere utilizzata ai fini di prova nei giudizi civili, disciplinari, tributari o amministrativi", vieppiù perché il diniego del rinnovo o la revoca del porto d'armi, seppur siano atti di elevato contenuto discrezionale, devono contenere una valutazione sulla personalità dell'interessato idonea a giustificare l'esigenza cautelare, di prevenire abusi nell'uso delle armi a tutela della privata e pubblica incolumità".
Nel caso sottoposto all'attenzione del Tar, la Questura di Siena adottava un provvedimento di diniego dell'istanza di rinnovo del porto d'armi ad uso sportivo, motivato in considerazione dell'esistenza, a carico dell'istante, di una condanna, inflitta a seguito di patteggiamento, alla pena di un anno e otto mesi di reclusione per calunnia, diffamazione e false dichiarazioni al Pubblico Ministero ed alla Polizia giudiziaria.
Ricorrendo al Tar, l'istante eccepiva l'illegittimità del provvedimento per difetto di istruttoria e di motivazione, per non avere l'Amministrazione congruamente motivato la valutazione di inaffidabilità dell'istante (essendosi basata solo sugli esposti a suo tempo depositati da due Magistrati a seguito della deposizione del ricorrente, in assenza di una valutazione totale di inaffidabilità dello stesso ricorrente) e per non aver considerato che i fatti alla base della condanna costituivano un unico ed occasionale episodio, mai più ripetuto.
In seconda istanza, il ricorrente eccepiva come l'Amministrazione non avrebbe potuto limitarsi a menzionare l'esistenza di una condanna, in quanto – ex art. 445 comma 1 bis c.p.p. - la sentenza di patteggiamento non può avere "efficacia e non può essere utilizzata ai fini di prova nei giudizi civili, disciplinari, tributari o amministrativi, compreso il giudizio per l'accertamento della responsabilità contabile".
Il Tar condivide le doglianze del ricorrente.
Il Collegio ricorda che, ai sensi dell'art. 445 comma 1 bis, c.p.p., la sentenza emessa dal Giudice (maggiormente quella di patteggiamento predibattimentale) non ha efficacia e non può essere utilizzata a diversi fini nei giudizi diversi da quello penale e, ciò, con la conseguenza che la sentenza che definisce il procedimento non potrà essere equiparata alla sentenza di condanna in settori dell'ordinamento diverso da quello penale.
Sul punto, la giurisprudenza ha chiarito che, in mancanza di una normativa che preveda un qualche eccezione al principio generale di cui all'art. 445 comma 1 bis c.p.p. (come avvenuto, dopo l'entrata in vigore della riforma Cartabia), deve escludersi ogni possibilità di equiparare la sentenza di patteggiamento a quelle di condanna.
Ne deriva che, ai fini del giudizio di inaffidabilità, l'Amministrazione nonlimitarsi a richiamare una precedente condanna in relazione alla quale è stato lo stesso Legislatore a prevedere espressamente che quest'ultima non può avere "efficacia e non può essere utilizzata ai fini di prova nei giudizi civili, disciplinari, tributari o amministrativi", vieppiù perché il diniego del rinnovo o la revoca del porto d'armi, seppur siano atti di elevato contenuto discrezionale, devono contenere una valutazione sulla personalità dell'interessato idonea a giustificare l'esigenza cautelare, di prevenire abusi nell'uso delle armi a tutela della privata e pubblica incolumità.
Con specifico riferimento al caso di specie, l'Amministrazione ha fondato il provvedimento di diniego dell'istanza di rinnovo del porto di fucile, solo ed esclusivamente, sull'esistenza della citata condanna, scaturita a seguito del patteggiamento di cui all'art. 445 c.p.c., senza effettuare alcuna valutazione sulla presunta inaffidabilità del ricorrente e senza dar contezza dei motivi per il quale il ricorrente non avesse "conservato una condotta di vita indiscutibilmente virtuosa, irreprensibile e immune da censure" tale da poter, anche solo potenzialmente, compromettere la sicurezza e la tutela pubblica.
Né si potrebbe ritenere che alcuno elemento di inaffidabilità poteva essere desunto automaticamente dagli atti del procedimento penale al quale fa riferimento l'Amministrazione, essendosi il medesimo concluso nella fase predibattimentale (senza quindi alcun accertamento delle condotte a carico del ricorrente), dopo che era stato attivato a seguito delle "sommarie informazioni testimoniali" rese dal ricorrente.
Alla luce di tanto, il Tar accoglie il ricorso e per l'effetto annulla il provvedimento impugnato, con compensazione delle spese di lite.
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