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Il piccolo ha il corpo ricoperto di placche e squame a causa di una malattia genetica chiamata Ittiosi Arlecchino. Una patologia rarissima, che colpisce un bimbo su un milione.
"Non dobbiamo essere eroi, ma rimanere pietosi nelle avversità, senza l'arroganza di ergersi a giudici di quello che pensiamo non saremo mai. Quei genitori, qualunque cosa pensassero prima della disgrazia, siamo tutti noi". Lo avevano voluto con tutte le loro forze, tanto da sottoporsi a fecondazione eterologa. Ma quando finalmente quattro mesi fa è nato, i genitori hanno deciso di abbandonarlo all'ospedale. Puzzava di fake news la vicenda di Giovannino, nome di fantasia del bambino affetto da Ittiosi Arlecchino, patologia così rara da colpire non più di un neonato su un milione. Una disfunzione della pelle rarissima e spietata, a cui i neonati sopravvivono raramente. La pelle, dura e ispessita, si spacca e si formano queste placche terribili, simili al vestito di Arlecchino. I genitori hanno scelto di non riconoscerlo, si prenderà cura di lui il Cottolengo.
Ci ha pensato Silvio Viale, ginecologo dell'ospedale Sant'Anna di Torino e da anni impegnato in Radicali italiani e nell'Associazione Luca Coscioni a spiegare con coraggio e franchezza di cosa stiamo parlando. L'ha fatto con un post su Facebook usando parole dirette che hanno squarciato il velo dei dogmatismi e delle certezze assolute. "Comprendo perfettamente la scelta dei genitori di non riconoscere il neonato. Una scelta doppiamente dolorosa, perché giunta improvvisa al termine atteso di una gravidanza desiderata. Chiunque di noi, potendo conoscere la diagnosi durante la gravidanza, abortirebbe. Chiunque di noi dovrebbe cercare di identificarsi con i genitori. Per capire cosa sia la Ittiosi Arlecchino, la variante peggiore della Ittiosi Autosomica Congenita, bisogna avere il coraggio di guardare le foto reperibili su qualsiasi motore di ricerca. C'è da sperare davvero che non sopravviva, mentre è necessario garantire una assistenza adeguata per il periodo che dovesse sfuggire alla morte". La gara di solidarietà scattata dopo la diffusione della notizia del bambino malato abbandonato dai genitori per il ginecologo è "una cosa penosa": "Troppo facile sorridere, fare i pietosi e mostrare magnanimità a parole, facendo telefonate a vuoto. Il punto è che nessuno si è preso la briga di capirci qualcosa, nessuno sa a cosa sta andando incontro e nessuno ha voluto, per ora, sapere nulla di Giovannino".
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«Di cosa ti occupi?». Una domanda che ci si sente rivolgere spesso. «Scrivo», la risposta audace del sottoscritto. «Ma no, intendevo dire: che lavoro fai?». Ecco, questa è la premessa. Sono veneto, di Jesolo, fin dal lontano 1959. Dopo un intenso vagabondare che negli anni mi ha visto avviare diverse iniziative imprenditoriali in Europa, ho messo momentanee radici a Busto Arsizio. Il mio curriculum include l’esperienza della detenzione, e non ho alcuna intenzione di nasconderlo perché la considero una risorsa che mi appartiene e mi ha arricchito. No, non mi riferisco ai soldi… Sono attento alle tematiche che riguardano la detenzione in ogni suo aspetto, nella convinzione che si possa fare ancora molto per migliorare il rapporto tra la società civile e il carcere. Ebbene sì, per portare a casa la pagnotta scrivo per alcuni periodici, tra cui InFamiglia, DiTutto, Così Cronaca, Adesso, Sguardi di Confine e Sport Donna occupandomi principalmente di sociale. Ho pubblicato Pane & Malavita per Umberto Soletti Editore. Amo la musica, la lettura e la cucina. Sono nonno e mi manca tanto il mare.