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Diventa avvocato dopo il divorzio, la Cassazione revoca l’assegno divorzile

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Con l'ordinanza n. 12537 depositata lo scorso 20 aprile, la VI sezione civile della Corte di Cassazione, pronunciandosi in merito ad una revoca dell'assegno divorzile, ha rigettato le difese dell'ex moglie, divenuta avvocato, secondo cui, in costanza di matrimonio, aveva accantonato gli studi di pratica forense ed aveva rinunciato all'attività professionale per dedicarsi al marito.

Gli Ermellini hanno, difatti, dato rilevanza alla breve durata del rapporto coniugale, all'assenza di figli e alla circostanza che la donna, a pochi mesi dalla cessazione della convivenza matrimoniale, avesse conseguito l'abilitazione alla professione forense: elementi, questi, che escludevano che le aspirazioni personali e/o professionali fossero state di fatto dalla donna trascurate o sacrificate per la necessità provvedere al ménage familiare.

Nel caso sottoposto all'attenzione della Cassazione, il Tribunale di Reggio Calabria pronunciava la cessazione degli effetti civili del matrimonio di una coppia di coniugi, ponendo a carico del marito il pagamento di un assegno divorzile a favore dell'ex moglie.

Adendo la Corte di Appello, l'uomo chiedeva la revoca o riduzione dell'assegno divorzile, in ragione del fatto che l'ex moglie risultava da tempo abilitata alla professione forense ed iscritta al relativo Albo, oltre che alla Cassa previdenziale di pertinenza. 

 La Corte di appello di Reggio Calabria, accoglieva l'appello e revocava il diritto alla corresponsione dell'assegno, ritenendo che non sussistesse, nel caso concreto, il presupposto essenziale per riconoscere il diritto della donna all'attribuzione dell'assegno divorzile, e segnatamente la mancanza di propri "mezzi adeguati" o, comunque, l'impossibilità di procurarseli "per ragioni oggettive".

In particolare, il Collegio rilevava come, sebbene l'iscrizione all'albo non fosse un dato sufficiente per dimostrare quanti e quali redditi derivassero alla donna da tale attività professionale, nondimeno la sua non avanzata età, in uno con l'assenza di fattori impeditivi del concreto ed operativo esercizio, portavano ragionevolmente ad escludere la sussistenza di ragioni oggettive di ostacolo alla capacità della donna di procurarsi mezzi "adeguati" al proprio sostentamento.

Ricorrendo in Cassazione, la difesa della donna censurava la decisione della Corte di merito per l'omesso esame circa un fatto decisivo ed, in particolare, per non aver considerato come l'ex moglie aveva rinunciato all'attività professionale in costanza di matrimonio, per aver la stessa accantonato gli studi di pratica forense per dedicarsi al marito, accompagnandolo al lavoro ed alle visite mediche.

 La Cassazione non condivide le difese formulate dalla ricorrente.

Secondo gli Ermellini, non è configurabile l'omesso esame di fatto decisivo, in quanto la Corte di appello ha espressamente esaminato la questione del sacrificio delle aspettative professionali della ricorrente, escludendo che vi fosse stata anche solo un'allegazione sul punto: al cospetto di tale preciso rilievo della Corte d'Appello, secondo cui la ricorrente non avrebbe nemmeno allegato di aver sacrificato le proprie aspettative professionali e reddituali per dedicarsi interamente alla famiglia, la stessa ricorrente, oltre a non confrontarsi minimamente con tale affermazione, non ha neppure indicato "dove " e "come" avrebbe sottoposto ai giudici di merito tale tema di indagine.

La sentenza in commento rileva, inoltre, come la breve durata del rapporto coniugale, l'assenza di figli e la circostanza che la donna, a pochi mesi dalla cessazione della convivenza matrimoniale avesse conseguito l'abilitazione alla professione forense, non consentiva di ritenere - ma anzi permetteva di escludere - che le aspirazioni personali e/o professionali fossero state di fatto da lei trascurate o sacrificate per la necessità provvedere al ménage familiare.

Compiute queste precisazioni, la Cassazione rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese delle spese di lite e al versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso per cassazione.

 

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