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Copertura invernale per la piscina: occorre il permesso per costruire

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Con la pronuncia n. 342 dello scorso 7 gennaio 2019, la III sezione della Corte di Cassazione, ha confermato la condanna penale inflitta ad un uomo che aveva realizzato, senza permesso di costruire, una struttura di copertura di una preesistente piscina, escludendo – per le rilevanti dimensioni della struttura – che potesse trattarsi di un'opera precaria o di una pertinenza non soggetta al permesso, in quanto ad ornamento di un edificio di grandi dimensioni.

Si è difatti specificato che "al fine di ritenere sottratta al preventivo rilascio del permesso di costruire la realizzazione di un manufatto, l'asserita precarietà dello stesso non può essere desunta dal suo carattere stagionale, ma deve ricollegarsi alla circostanza che l'opera sia intrinsecamente destinata a soddisfare obiettive esigenze contingenti e temporanee e ad essere immediatamente rimossa al venir meno di tale funzione; una pertinenza – per non essere soggetta al permesso – deve essere di ridotte dimensioni ed avere un volume inferiore al 20% del volume dell'edificio principale".

Il caso sottoposto all'attenzione della Cassazione prende avvio dall'esercizio dell'azione penale nei confronti di un cittadino, accusato del reato di cui all'art. 44, comma 1, lett. b), d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, per avere realizzato, senza permesso di costruire, una struttura di copertura di una preesistente piscina.

Nel corso del giudizio di merito, la Corte di Appello di Bologna confermava la pronuncia di condanna, essendo stato accertato che la copertura era stata realizzata, e veniva in concreto utilizzata, stagionalmente, tutti gli anni, durante i mesi meno caldi, sicché era da escludersi che si trattasse di opera destinata a soddisfare esigenze meramente temporanee.

I giudici escludevano altresì che si trattasse di pertinenza, in considerazione delle sue rilevanti dimensioni (superiori a 500 metri cubi) e che potesse, quindi, applicarsi – a contrario – la disciplina prevista dall'art. 3 comma 1 lettera e.6) del d.P.R. 380/2001 che assoggetta a permesso di costruire le pertinenza che comportino la realizzazione di un volume superiore al 20% del volume dell'edificio principale. 

Ricorrendo in Cassazione, la difesa dell'uomo riteneva che gli interventi realizzati, non fossero assoggettati al rilascio del titolo abilitativo.

In primo luogo, l'uomo rilevava come l'opera fosse diretta a soddisfare esigenze temporanee, sicché – in conformità alle previsioni del regolamento edilizio comunalenon era necessario ottenere il permesso di costruire.

Infine, si affermava come l'opera realizzata era da considerarsi pertinenza dell'edificio principale e che il suo volume non eccedesse il 20% dell'edificio principale posto che, durante i mesi estivi quando veniva impacchettata, essa occupava solo pochi metri.

La Cassazione non condivide le difese mosse dal ricorrente.

In relazione al primo motivo, in punto di diritto gli Ermellini ricordano che il regolamento edilizio comunale non può derogare alla disciplina di fonte statale, penalmente sanzionata, che assoggetta determinate opere al previo rilascio del permesso di costruire, sicché correttamente la Corte territoriale ha disapplicato quel regolamento nella parte in cui prevede che le opere precarie non soggiacciono a permesso.

In punto di fatto, riprendendo le corrette considerazioni formulate dal Giudice di merito, la Corte precisa comunque come la copertura di una piscina non possa rientrare tra le opere destinate a soddisfare esigenze meramente temporanee: di fatti, in materia edilizia, al fine di ritenere sottratta al preventivo rilascio del permesso di costruire la realizzazione di un manufatto, l'asserita precarietà dello stesso non può essere desunta dal suo carattere stagionale, ma deve ricollegarsi – giusta previsione dell'art. 6, comma secondo, lett. b), d.P.R. n. 380 del 2001 – alla circostanza che l'opera sia intrinsecamente destinata a soddisfare obiettive esigenze contingenti e temporanee e ad essere immediatamente rimossa al venir meno di tale funzione. 

In relazione al secondo motivo, accertate le rilevanti dimensioni del manufatto, la Corte esclude che possa applicarsi la disciplina delle pertinenze, posto che, per giurisprudenza consolidata, per parlarsi di pertinenza, il manufatto deve avere ridotte dimensioni.

Non trattandosi di pertinenza, non è neanche possibile applicare la disciplina prevista dall'art. 3 comma 1 lettera e.6) del d.P.R. 380/2001.

In particolare, quest'ultima norma considera interventi di nuova costruzione assoggettati a permesso di costruire, tra l'altro, le pertinenze «che comportino la realizzazione di un volume superiore al 20% del volume dell'edificio principale»: secondo gli Ermellini da tale previsione non può ricavarsi, a contrario, che laddove tale soglia non sia superata, il manufatto, pur destinato a servizio di quello principale, sia da qualificarsi pertinenza non soggetto a tale regime, a prescindere da quale sia la sua dimensione.

La norma di legge, infatti, ancora la deroga all'imprescindibile presupposto che l'accessorio, di volume inferiore al 20% dell'edificio principale, sia una pertinenza e che esso abbia dimensioni oggettivamente ridotte.

È, pertanto, sempre necessario valutare le ridotte dimensioni della pertinenza altrimenti, diversamente opinando, si finirebbe per escludere dal previo controllo dell'ente comunale interventi di trasformazione del territorio di sicuro impatto urbanistico per l'oggettiva consistenza (quale certamente è quello in esame) sol perché funzionali ad edifici di enormi dimensioni.

In conclusione la Cassazione dichiara inammissibile del ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e – ritenuto che la parte versasse versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità – della somma di €. 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende. 

 

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