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Chi ha paura di un banco di pesciolini?

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Per il momento, le sardine si accontentano di ritrovarsi per testimoniare insieme un desiderio di rappresentanza. Forse è poco, ma è un segnale che infonde fiducia e ottimismo in noi,  baccalà solitari che da tempo aspettavamo un banco in cui rifugiarci.

«Cari populisti, lo avete capito. La festa è finita». Parola di sardina. Un pesce che si muove in banchi e si trova bene tra i suoi simili, così come i manifestanti della notte bolognese: simili nella loro diversità, uniti nella loro comune intenzione. E poi il silenzio: tutti che urlano, che strepitano, che vogliono gridare più forte del proprio vicino di banco. Qui di banco ce n'è solo uno, quello delle sardine, che si muovono compatte e silenziose tutte nella stessa direzione.

Appena sono comparsi in piazza, zitti, con il loro slogan "le sardine non abboccano" e i loro pesciolini disegnati alla meno peggio su pezzi di cartone, tutti hanno iniziato a etichettarli: "Ah, mi ricordano il vaffa day di Grillo" - "Ah no, non c'è il leader, mi ricordano i girotondi con Moretti che mandava a quel paese i dirigenti comunisti". 

E invece no. Loro non mandano a quel paese proprio nessuno, anzi. Dire "non abbocchiamo" è sostanzialmente rivoluzionario; ma non è una minaccia, come alcuni hanno voluto intendere. Se vogliamo capire meglio il successo del banco di sardine occorre ricordare che a Beirut, come a Santiago del Cile, ci sono manifestazioni di massa auto-organizzate da più di un mese. I giovani francesi si scontrano con la polizia esattamente come i loro coetanei di Hong Kong, sempre più radicali. Non dimentichiamo, inoltre, che pochi mesi fa manifestazioni popolari hanno costretto il presidente del Sudan Omar al-Bashir a lasciare il potere, mentre mobilitazioni analoghe in Algeria hanno posto fine al regime di Abdelaziz Bouteflika. Obiettivi diversi, ma anche alcune caratteristiche simili, per quelli che hanno l'aria di essere dei moti più che dei movimenti.

Hanno in comune, ad esempio, il fatto di essere nati in brevissimo tempo e di aver sfruttato al meglio le possibilità di comunicazione e coordinamento offerte dai social media, come le "sardine" bolognesi. L'uso spontaneo, ma consapevole, della Rete ha reso possibile in tempo reale una movimentazione che in altri tempi avrebbe richiesto il lavoro di centinaia di persone per settimane o mesi.

Eppure si è scatenata la bagarre: tutti che vogliono "mettere il cappello all'iniziativa".

Difficile tracciare il profilo di una moltitudine che si è ritrovata sulla base di un appello fantasioso e improvvisato. Ma la velocità con la quale manifestazioni analoghe si stanno autoconvocando in altre parti d'Italia fa sospettare che in questa iniziativa ci sia qualcosa di più profondo della semplice goliardia di quattro amici.

Nate per contrastare la violenza comunicativa e manifestare insofferenza verso una classe politica demagogica che vive di sola propaganda, le sardine bolognesi contro i populismi nel giro di pochissimi giorni hanno raccolto ampio consenso e dall'Emilia-Romagna hanno esportato il modello della pacifica protesta in piazza in tutta Italia. Da Milano a Torino, passando per Roma, Palermo, Perugia e Sorrento, in tutto il territorio nazionale si moltiplicano i flashmob di anti- populismo delle "sardine".

La piazza di Bologna gremita di sardine ha colto di sorpresa un po' tutti, persino i suoi organizzatori. In questi giorni si leggono i commenti più disparati nel tentativo di rispondere alla domanda del momento: chi sono e cosa vogliono i partecipanti al riuscitissimo flashmob, definito la prima rivoluzione ittica della storia? Definirsi con il nome di questo umile pesciolino significa dichiarare l'intenzione di unirsi contro la paura, per correre tutti insieme il rischio di una nuova avventura, prescindendo da simboli e appartenenze partitiche; scegliere come proprio metodo l'azione collettiva, coordinata attraverso una comunicazione rapida ed efficace tra gli individui; rifiutare di seguire un "capo", per riconoscersi tutti uguali e aperti all'accoglienza della diversità; attivarsi in un momento di buio e cercare la via per dare continuità alla propria iniziativa. Proprio come le sardine.

Certo, il movimento delle sardine -nato come reazione all'arroganza verbale di un leader di partito- non ha un vero programma politico: ha un manifesto che può apparire vago, scontato e persino sgrammaticato in certi punti. Ma nei loro improvvisati raduni si intravvede il riconoscersi di individui simili, un viscerale attaccamento ai valori dell'uguaglianza e della democrazia, del pacifismo e dell'accoglienza; una congenita diffidenza verso la leadership populista e spregiudicata; un'atavica repulsione verso la retorica razzista e nazionalista e un'identificazione nella storia della Resistenza e nella Costituzione, simboleggiata da "Bella ciao", l'inno condiviso dalla piazza. È questo che ci spaventa? Solo il tempo ci dirà se questa esperienza è destinata a trasformarsi in un progetto politico compiuto. Per il momento, le sardine si accontentano di ritrovarsi e di testimoniare insieme un desiderio di rappresentanza. Forse è poco, ma è un segnale che infonde fiducia e ottimismo nei baccalà solitari che da tempo aspettavano un banco in cui rifugiarsi…

 

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Cinema Forense - Evelyn

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