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Con la sentenza n. 7336 dello scorso 16 marzo, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno fornito interessanti specificazioni sul rapporto esistente tra il procedimento disciplinare a carico dell'avvocato e quello penale avviato per i medesimi fatti, escludendo la necessità di una obbligatoria sospensione del procedimento disciplinare in attesa che venga definito il processo penale.
Si è difatti specificato che "deve escludersi la sospensione necessaria ex art. 295 c.p.c., in attesa della definizione del giudizio penale, potendo sussistere solo una facoltativa sospensione limitata nel tempo, quando dal giudice disciplinare sia reputata indispensabile l'acquisizione di elementi di prova apprendibili esclusivamente dal processo penale".
Sul merito della questione aveva statuito, inizialmente, il Consiglio Distrettuale di Disciplina di Salerno che infliggeva la sanzione disciplinare dell'avvertimento ad un avvocato, per non aver adempiuto al mandato difensivo ricevuto che prevedeva il deposito di una istanza cautelare, per aver infedelmente informato i clienti circa lo svolgimento delle relative vicende processuali, per non aver restituito la documentazione richiesta dagli assistiti, come invece sarebbe stato suo dovere.
Il Consiglio Nazionale Forense, ritenuta accertata la violazione del codice deontologico forense, respingeva la domanda dell'incolpato di sospendere il procedimento disciplinare fino alla definizione di un secondo processo penale instaurato per i medesimi fatti, in quanto l'art. 54 della nuova legge professionale forense permette oggi soltanto una limitata sospensione del processo disciplinare per l'indispensabile acquisizione di atti e notizie, mentre nella concreta fattispecie gli elementi penalmente rilevanti erano esattamente gli stessi.
Il legale, ricorrendo in Cassazione, eccepiva la violazione dell'art. 44 del R.D.L. n. 1578 del 27 novembre 1933, sostenendo che erroneamente il CNF non aveva disposto la sospensione del procedimento disciplinare in attesa della definizione del secondo processo penale, così come invece suggerito dalla costante giurisprudenza delle sezioni unite.
Le Sezioni Unite non condividono le tesi difensive del ricorrente.
Gli Ermellini evidenziano come la giurisprudenza invocata dal legale si riferisca alla disciplina applicabile prima dell'entrata in vigore della nuova legge professionale forense, applicabile ratione temporis al processo de quo.
La sentenza in commento precisa che – diversamente da quanto accadeva con la disciplina previgente che, prendendo atto della riforma dell'art. 653 c.p.p., regolava i rapporti tra i due processi in termini di pregiudizialità penale – le disposizioni contenute nella nuova legge professionale forense sono rivolte a garantire una celere giustizia disciplinare, eliminando i lunghi tempi normalmente richiesti per la definizione del processo penale, lasciando il regolamento del rapporto tra i due giudizi alla previsione della obbligatoria riapertura del procedimento disciplinare nelle ipotesi tassativamente indicate dal successivo articolo 55.
In particolare, il nuovo articolo 54 della legge 247/2012 prevede una reciproca autonomia tra il processo penale e quello disciplinare, sicché l'esito del giudizio disciplinare non può più farsi dipendere dal giudicato penale. Deve, quindi, escludersi la sospensione necessaria ex art. 295 c.p.c., in attesa della definizione del giudizio penale, potendo sussistere solo una facoltativa sospensione limitata nel tempo, quando dal giudice disciplinare sia reputata indispensabile l'acquisizione di elementi di prova apprendibili esclusivamente dal processo penale.
Con specifico riferimento al caso di specie, la Cassazione rileva come correttamente il CNF abbia applicato la nuova disciplina contenuta nell'art. 54 della legge n. 247, ritenendo non necessaria la sospensione del processo; altrettanto correttamente si è reputata non necessaria la sospensione facoltativa, in quanto gli elementi di prova indispensabili erano stati già tratti dal primo procedimento penale ed erano gli stessi per i quali si procedeva con il secondo processo penale.
La sentenza di merito viene dunque confermata; la Cassazione rigetta il ricorso, con condanna del ricorrente al versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.
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Nel 2010 mi sono laureata in giurisprudenza presso l'Università degli Studi di Bari; nel 2012 ho conseguito sia il Diploma di Specializzazione per le Professioni Legali presso l'Ateneo Barese che il Diploma di Master di II livello in "European Security and geopolitics, judiciary" presso la Lubelska Szkola Wyzsza W Rykach in Polonia.
Esercito la professione forense nel Foro di Bari, occupandomi prevalentemente di diritto civile ( responsabilità contrattuale e extracontrattuale, responsabilità professionale e diritto dei consumatori); fornisco consulenza specialistica anche in materia penale, con applicazione nelle strategie difensive della formula BARD.