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Adozioni: sì allo stato di adottabilità se la mamma si disinteressa del figlio per anni

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Con la sentenza n. 19825 depositata lo scorso 22 settembre, la I sezione civile della Corte di Cassazione, ha confermato lo stato di adottabilità di un minore per il disinteresse mostrato dalla madre, la quale era stata totalmente assente dalla vita del minore per sei anni, durante i quali mai aveva chiesto notizie o si era attivata per cercarlo.

Si è difatti precisato che il prioritario diritto dei minori a crescere nell'ambito della loro famiglia di origine non esclude la pronuncia della dichiarazione di adottabilità quando, nonostante l'impegno profuso dal genitore per superare le proprie difficoltà personali e genitoriali, permanga tuttavia la sua incapacità di elaborare un progetto di vita credibile per i figli e non risulti possibile prevedere con certezza l'adeguato recupero delle capacità genitoriali in tempi compatitili con l'esigenza dei minori di poter conseguire una equilibrata crescita psico-fisica.

Il caso sottoposto all'attenzione della Cassazione prende avvio dal ricorso proposto dalla Procura della Repubblica affinché fosse dichiarato lo stato di adottabilità di un bambino. 

 L'istanza traeva origine dal comportamento della mamma, che era stata totalmente assente per sei anni dalla vita del minore, non aveva mai chiesto notizie e non si era mai attivata per cercarlo.

Alla luce di tanto, il Tribunale dei minori di Roma dichiarava lo stato di adottabilità del minore; la decisione veniva confermata dalla Corte di Appello di Roma, avendo la stessa accertato lo stato di abbandono del minore, che era stato lasciato dalla madre e dai propri familiari in tenerissima età.

In particolare, la donna, dapprima, aveva voluto che il figlio vivesse con il padre, maltrattante e violento, senza mai segnalare la condizione di grave degrado in cui lo stesso minore si trovava, e, successivamente, decideva di lasciarlo presso le istituzioni di pubblica assistenza, non attivandosi mai per cercarlo e riaverlo, pur avendo risorse e strumenti personali familiari ed economici che avrebbero potuto assicurare facilmente esiti positivi di una ricerca.

Avverso la decisione, proponeva ricorso per Cassazione la mamma del bambino, deducendo la violazione dell'articolo 15 della legge 184/1983.

In particolare, la donna si lamentava della circostanza per cui i giudici non avevano svolto alcuna indagine sulle dichiarazioni rese dalla nonna del bambino, vertenti sulla capacità genitoriale della madre e tali da incidere sulla irreversibilità della situazione di abbandono: la Corte di Appello, infatti, aveva, in modo ingiustificato, ritenuto non credibile la volontà della ricorrente di recuperare il rapporto con il figlio. 

 La Cassazione non condivide la posizione della ricorrente.

La Corte premette che il prioritario diritto dei minori a crescere nell'ambito della loro famiglia di origine non esclude la pronuncia della dichiarazione di adottabilità quando, nonostante l'impegno profuso dal genitore per superare le proprie difficoltà personali e genitoriali, permanga tuttavia la sua incapacità di elaborare un progetto di vita credibile per i figli e non risulti possibile prevedere con certezza l'adeguato recupero delle capacità genitoriali in tempi compatitili con l'esigenza dei minori di poter conseguire una equilibrata crescita psico-fisica.

Ciò chiarito, con specifico riferimento al caso di specie, gli Ermellini evidenziano come la Corte territoriale abbia ampiamente motivato la sua scelta di confermare lo stato di adottabilità, sulla scorta delle ampie indagini in fatto effettuate: da tale indagine, era emerso come la madre era stata totalmente assente per sei anni dalla vita del minore, non aveva mai chiesto notizie e non si era mai attivata per cercarlo, così evitando in toto di instaurare una effettiva relazione affettiva con il medesimo. Sulla scorta di tali evidenze, la sentenza impugnata è giunta alla motivata conclusione della superfluità di un accertamento peritale sulla concreta capacità genitoriale della madre, incompatibile con le attuali esigenze del minore, oramai sereno nella casa famiglia.

Compiute queste precisazioni, la Cassazione rigetta il ricorso.

 

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