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Ospitalità in stazione a senzatetto, legittimo il licenziamento del capo stazione

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Con la sentenza n. 13420 dello scorso 17 maggio, la sezione lavoro della Corte di Cassazione, chiamata a pronunciarsi sul ricorso di un capo stazione che aveva consentito ad una donna straniera di pernottare per due notti all'interno di un locale in disuso della stazione centrale, ha confermato la legittimità del licenziamento, escludendo sia che il comportamento contestato al ferroviere costituisse un rimedio indispensabile per evitare un pericolo imminente o una situazione di urgenza sia che l'intento umanitario e caritatevole opposto dal lavoratore rappresentasse una scriminante, posto che quest'ultimo ben avrebbe potuto prestare del denaro alla donna.

Il caso sottoposto all'attenzione della Cassazione prende avvio dal licenziamento intimato dalla Rete Ferroviaria Italiana S.p.A. nei confronti di un proprio lavoratore: a quest'ultimo veniva contestato di aver consentito, nella qualità di Capo Stazione, l'indebito accesso ed il pernottamento nei locali dell'ex dirigenza centrale operativa di Agrigento – siti all'interno della stazione centrale di detta città ed in disuso dal 2011 – ad una donna straniera, dalla sera del 16 ottobre alla mattina del 18 ottobre 2013, con ciò esponendo l'azienda anche a gravi rischi, sotto il profilo della responsabilità civile, in relazione ad eventuali danni che l'ospite avrebbe potuto patire all'interno della struttura, con conseguente pregiudizio per l'azienda.

In primo grado, i giudici di merito riconoscevano gli intenti umanitari dell'uomo, disponendo l'illegittimità del licenziamento. Di avviso contrario, invece, è stata la decisione della Cassazione che rinviava alla Corte di Appello di Palermo per un riesame della questione. 

 La Corte siciliana, decidendo sul rinvio disposto dalla Cassazione, in riforma della sentenza emessa dal giudice di primo grado, rigettava la domanda di impugnativa del licenziamento proposta dal ferroviere.

La Corte territoriale osservava come i fatti posti a capo dell'intimazione dell'addebito risultassero pacifici, sia singolarmente sia nella loro concatenazione spazio temporale.

Tale accertamento portava a qualificare particolarmente grave la condotta, serbata del lavoratore, di indebito utilizzo dei beni aziendali, sia in ragione del ruolo di capo stazione ricoperto dal dipendente, sia in ragione del tempo, sebbene per frazioni limitate, durante il quale l'uomo si era sottratto allo svolgimento dei propri compiti (era stato provato, infatti, che quest'ultimo aveva abbandonato il posto di lavoro sia la sera del 16 ottobre, per circa 15 minuti, che la mattina seguente per altrettanti 10/15 minuti, senza timbrare né l'uscita né l'entrata ed attestando falsamente la sua presenza continuativa in ufficio).

Il lavoratore, ricorrendo in Cassazione, impugnava la decisione della Corte di Appello, denunciando violazione dell'art. 116 c.p.c. in relazione alla valutazione delle prove, per non aver la sentenza impugnata valutato, alla luce dei pacifici fatti di causa, come gli addebiti contestati fossero di fatto scriminati dai fini umanitari e caritatevoli che lo avevano condotto al prestare aiuto alla donna straniera.

 La Cassazione non condivide le doglianze del ricorrente.

Gli Ermellini evidenziano, infatti, come le complessive censure sollevate dal lavoratore mirino ad una diversa valutazione degli elementi di causa, non consentita in sede di legittimità.

In punto di diritto, la sentenza di commento evidenzia come una questione di malgoverno dell'art 116 c.p.c., può porsi solo allorché il ricorrente alleghi che il giudice di merito abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova che invece siano soggetti a valutazione.

Con specifico riferimento al caso di specie, la Corte di merito ha escluso che l'intento umanitario e caritatevole opposto dal ricorrente rappresentasse una scriminante: tale giudizio è avvenuto sulla base della discrezionale valutazione del materiale istruttorio raccolto, valutando le circostanze di causa in modo diverso da quanto auspicato dalla parte ricorrente.

Sul punto, la Cassazione evidenzia come la sentenza impugnata abbia correttamente argomentato circa le possibilità per il lavoratore di aiutare diversamente la donna, anche eventualmente fornendole un contributo economico al fine di assicurarle un ricovero provvisorio durante la notte; in secondo luogo, anche a voler ritenere che l'ospitalità presso la stazione fosse un rimedio indispensabile per evitare un pericolo imminente o una situazione di urgenza, siffatta esigenza, in ogni caso, era da escludersi in relazione all'ospitalità offerta per la seconda notte e in relazione alla quale si sarebbe potuto programmare una soluzione alternativa.

In conclusione la Corte dichiara inammissibile il ricorso, con condanna della ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità.

 

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