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Ketty Fusco: dal “Mandorlo”, Premio Lentini a “Quell’albergo sul fiume”

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Tra le tante riviste di poesia in circolazione tra gli anni Cinquanta e i Sessanta c'era pure "il banditore sud" del mio concittadino Mario Gori. Una rivista che, oltre ad occuparsi di recensioni, grazie alle firme di critici prestigiosi (Franco Simoncini, Elio Filippo Accocca, Piero Chiara, Alberto Bevilacqua, Ugo Reale, Massimo Grillandi…); oltre a proporre riflessioni sullo stato delle lettere, della poesia, dei movimenti culturali ( da lì a poco a Palermo sarà firmato il "manifesto" del Gruppo '63); oltre a far conoscere poeti svizzero-ticinesi (Giorgio Orelli) o quanto meno nati in Svizzera (Elvezio Petix, nato a Lugano nel 1906) informava anche sugli esiti dei premi di poesia.

Uno dei più prestigiosi era il "Premio Lentini", di cui Mario Gori è stato segretario della Commissione esaminatrice. Lentini si trova tra Siracusa e Catania e, tra l'altro, diede i natali al famoso Jacopo, che troneggia agli inizi delle Storie della letteratura italiana.

Tra i finalisti, scelti tra 312 concorrenti, nel 1961 troviamo Ketty Fusco-Bertola con la lirica "Mandorlo". Grande la sorpresa per l'amicizia che mi lega a Ketty e a Francesco, suo marito, recentemente scomparso; altrettanto grande l'emozione nel leggere questa lirica che onora il mandorlo simbolo di una mediterraneità che, ancora oggi, trova posto nelle manifestazioni ad onor dei popoli che si affacciano sul "Mare Nostrum" in quella fertilissima plaga, memoria di antiche civiltà, che è la Valle dei Templi ad Agrigento.

Ketty Fusco, nata a Napoli, nel 1926 da padre italiano e da madre svizzera, vive a Lugano, dove si è trasferita da bambina. Nota soprattutto come attrice e regista di teatro radiofonico (è stata per vent'anni responsabile della programmazione teatrale della Radio della Svizzera italiana) si è anche affermata in campo poetico con le due raccolte Nella luce degli occhi e i Giorni della memoria. Raffinata narratrice, la Fusco si è occupata anche di letteratura per l'infanzia, con la fiaba Il caminetto che canta, cha ha fatto scrivere a Mariella De Santis, come i suoi richiami al reale vengano colti «negli aspetti che i bambini di oggi sono stimolati a considerare: il valore e il rispetto della natura e degli affetti; senza che ne derivi una morale edificante, ma un coloratissimo bosco di eventi e stupori». A Milano le viene assegnato il premio «Maschera d'argento della rivista Sipario». Mentre la società svizzera di Studi teatrali le assegna «L'Anello Hans Reinhart, 1994». 

Ketty Fusco, ha pubblicato diversi libri di poesie, racconti per l'infanzia, pezzi teatrali e numerosi romanzi.

In questi giorni di confinamento mi è capitato tra le mani un libro, che avevo letto quando era uscito nel 1999: "In quell'albergo sul fiume", Armando Dadò editore, Locarno, un racconto autobiografico emerso dalla memoria della figlia di un antifascista della prima ora, l'avvocato Attilio Fusco, che dovette abbandonare Napoli, la sua città per non aver voluto prestare giuramento di fedeltà al regime mussoliniano.

Ed un bene, a nostro avviso, che affiorino affreschi, come questo racconto di Ketty Fusco, proprio in un momento in cui le tentazioni revisioniste e negatrici di antichi e nobili valori mettono tutto in discussioni quando non negano o manipola eventi, fatti, storia…! Ieri come oggi.

Chiara e partecipata la "Prefazione" di Eros Bellinelli, scomparso lo scorso anno all'età di 99 anni, che aiuta il lettore giovane, soprattutto, in una giusta e corretta contestualizzazione degli avvenimenti delineando, anche, l'atteggiamento della Svizzera e del Ticino nei confronti degli antifascisti che arrivavano dall'Italia.

Scrive Bellinelli: "Sono microtragedie che diventarono, con la guerra 1939-1945, destini apocalittici di interi popoli, di definite etnie, di innumerevoli persone che disubbidirono al partito in Italia, in Germania e nei paesi del cosiddetto "socialismo reale": dallo sterminio degli ebrei al massacro degli antistalinisti. Sono efferatezze globali che si sono vissute, nell'Europa balcanica, fino a pochi giorni or sono. Sono indescrivibili crudeltà che si ripetono, nelle più opposte geografie, in tutto il mondo giorno dopo giorno. Niente di nuovo, storicamente, nel racconto di Ketty Fusco. Tutto nuovo se si considera che ogni esperienza privata è diversa dalle altre, ha una incontrovertibile unicità". E chi meglio di Eros Bellinelli può identificarsi in queste "microtragedie", dal momento in cui anche suo padre fu protagonista, in un certo modo, di una vicenda simile?

La piccola Mara, figlia di un avvocato napoletano e di una svizzero-grigionese, era destinata ad una vita tranquilla di una tranquilla famiglia borghese napoletana, se gli avvenimenti politici non avessero portato il fascismo a governare l'Italia e a terrorizzare quei cittadini non disposti ad accettare quell'ideologia. Il papà di Mara, antifascista della prima ora, amico di Matteotti, è uno di questi e per sfuggire al carcere e alla morte è costretto ad abbandonare la sua famiglia ( Mara aveva quattro mesi), la sua casa, le sue sorelle, i suoi affetti amicali e trasferirsi negli Stati Uniti, dove, in un primo tempo, troverà lavoro presso lo studio di Fiorello La Guardia. 

Sarà un Capo d'anno, 1998, e l'offerta di una mela da parte della figlia: "E' una bella mela rossa, carnosa. 'Gloria mundi' si chiama", che spinge Mara, oramai diventata nonna, a ricordare. Era la stessa mela che la piccola Mara aveva mangiato dalla zia Ursulina, nel 1929, quando da Napoli era arrivata a Coira, nel Canton Grigioni, per vedere, per la prima volta, il padre Attilio venuto dall'America. Ma erano, soprattutto le mele "…di Federigo Garcìa Lorca avrebbe voluto dormire il sonno ("…vorrei dormire il sonno delle mele…", le stesse mele che attendevano un tempo migliore, un tempo che non venne, né per Federigo né per quell'uomo che era fuggito in America". E i ricordi cominciano ad affiorare, grazie anche a quelle tracce, a quei simboli che Mara custodisce gelosamente sulla "comode" o nella vetrinetta della sua casa di Lugano. I puttini di "bisquit" che la zia Eva era riuscita a salvare, durante la svendita del mobilio della casa napoletana, o dell'orologio da taschino Omega del padre.

Il suono, dolce e soffuso, di un CD, l'invito al ballo del marito portano Mara a ripescare, nella memoria, quell'emozione, a guerra finita, del suo ritorno a Napoli nell'intravedere, durante il viaggio in treno, che si era fermato sopra un ponte, una scena, un segnale dei tempi che attendevano l'Italia.

"Là, sulla riva del fiume, da un casolare illuminato, venivano le note di un bolgie woogie. Ed ecco stagliarsi, sotto le poche lampadine sull'aia, le figure danzanti di un soldato americano, forse nero di pelle e di una 'signorina' (come venivano chiamate le ragazze che stavano con i soldati alleati per un pacco di caffè, qualche tavoletta di cioccolata)".

Il papà di Mara, dopo un brevissimo periodo luganese, sarà costretto a ripartire per l'America dove morirà nel 1944.

La mamma e le zie non ci sono più e Mara "… da quella terrazza affacciata sul lago di Lugano, guarderà le stagioni passare, i suoi occhi seguiranno il volteggiare bianco della neve d'inverno, si soffermeranno con amore sulle chiome degli alberi dai colori morbidi e accesi in autunno, prima del grande sonno".

Una scrittura asciutta, senza grandi ricercatezze linguistiche, di immediata e sofferta comprensione.

La lettura di questo racconto mi ha portato a capire tante cose: atteggiamenti e sentimenti che hanno sfiorato il mio animo e che non trovavano, per quel riverenziale timore del "non chiedere oltre" risposte adeguate. L'amore di Ketty, e anche di Francesco, per la mamma, per la zia anziana ospitate da loro, con amore e devozione fino alla morte; l'attaccamento, l'affetto, le premure nei confronti dei loro nipotini, sempre gironzolanti in casa loro; quel, quasi, "innaturale" senso dell'ospitalità e quella grandissima e partecipata solidarietà nei confronti degli immigrati o dei fuoriusciti; l'impegno di Ketty Fusco nell'organizzare serate con gruppi teatrali e musicali, fino ai paesini più sperduti delle vallate ticinesi, a sostegno del popolo cileno dopo l'arrivo dei primi profughi nel 1973.

Forse era cominciato proprio in quei momenti questo viaggio a ritroso alla ricerca della sua infanzia, delle sue radici, di una scheggia che testimoniasse questo suo presente. 

 

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