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Decadenza dell’agevolazione “prima casa” nel contratto a favore del terzo

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Riferimenti normativi: Art.1 D.P.R.n.131/1986 – art.1411 c.c.

Focus: Una società, acquisendo con atto di permuta un terreno, ha trasferito due appartamenti ancora da costruire direttamente ai figli della proprietaria del terreno i quali hanno chiesto il beneficio dell'agevolazione "prima casa". A seguito di vendita degli immobili a loro attribuiti con la permuta, i figli della proprietaria del terreno sono decaduti dal beneficio dell'agevolazione suddetta a causa del mancato acquisto di un altro immobile da adibire ad abitazione principale. In tal caso, la responsabilità per il pagamento dell'imposta di registro ricade sulla società o sugli acquirenti? Sulla questione si è espressa la Corte di Cassazione con l'Ordinanza n.11842 del 6 maggio 2025.

Il caso: Una contribuente ha ceduto un terreno edificabile ad una società con un atto di permuta, e quale corrispettivo la società ha trasferito due appartamenti ancora da costruire da intestare direttamente ai figli della contribuente. Questi ultimi sono intervenuti nell'atto di permuta ed hanno espressamente accettato il trasferimento nei loro confronti, richiedendo le agevolazioni "prima casa" per i due appartamenti da costruire negli anni successivi. I due fratelli, però, hanno venduto gli appartamenti prima del decorso di 5 anni dal loro acquisto decadendo, di conseguenza, dall'agevolazione prima casa, di cui alla nota II-bis dell'articolo 1 della tariffa, parte prima, allegata al testo unico sull'imposta di registro, D.P.R. n. 131/986, anche perché dopo la vendita i due soggetti non hanno acquistato altri immobili da adibire a propria abitazione principale.Quindi, l'Amministrazione finanziaria, preso atto della decadenza dell'agevolazione "prima casa", ha inviato ai due fratelli due avvisi di liquidazione al fine di recuperare l'iva nella misura ordinaria, oltre alla prevista sanzione e agli interessi. Gli avvisi di liquidazione sono stati impugnati dai due contribuenti dinanzi alle Commissioni tributarie di primo e di secondo grado ritenendo che l'imposta di registro non fosse da loro dovuta avendo rivestito, nella fattispecie, la qualifica di terzo nel citato contratto di permuta. I giudici tributari di merito, sia in primo che in secondo grado, hanno respinto la loro linea difensiva evidenziando che, comunque, essi erano intervenuti nell'atto di permuta e avevano espressamente accettato il trasferimento delle due abitazioni nei loro confronti. I giudici tributari hanno anche dubitato che, nel caso di specie, si configurasse un vero e proprio contratto a favore del terzo, in quanto questa figura contrattuale, disciplinata dall'art.1411 del codice civile e seguenti, si caratterizza per l'estraneità del terzo all'accordo negoziale. Nel caso di specie, invece, secondo i giudici, gli aventi diritto alla prestazione non erano rimasti estranei al contratto da altri stipulato ma avevano ricoperto il ruolo di parti sostanziali del contratto. 

I contribuenti, anche nel giudizio di legittimità dinanzi ai giudici della Corte Suprema, hanno sostenuto la loro posizione di terzi rispetto all'accordo negoziale della permuta, reiterando la propria tesi difensiva secondo la quale il terzo è colui che riceve gli effetti del contratto pur non essendo parte sostanziale del negozio. Di conseguenza, gli stessi ritenevano che l'iva, dovuta a seguito della decadenza dell'agevolazione, doveva essere richiesta solo alla società venditrice degli appartamenti. I giudici di legittimità, con l'Ordinanza n.11842 del 6 maggio 2025, hanno richiamato il loro pregresso orientamento in base al quale "l'interpretazione degli atti negoziali è riservata in maniera esclusiva al giudice di merito e può essere censurata in sede di legittimità solo nei casi di violazione delle regole che disciplinano l'interpretazione". Nel caso di specie, i giudici hanno ritenuto che i ricorrenti non hanno precisato in che modo i giudici tributari avessero violato le regole interpretative degli atti ma si sono limitate a ritenere errate l'interpretazione fornita dai giudici di merito. I giudici della Corte di Cassazione, poi, hanno condiviso l'operato delle Commissioni tributarie, tenuto conto che i due fabbricati, in relazione ai quali si era verificata la decadenza dell'agevolazione prima casa, erano stati trasferiti dalla società direttamente nei confronti dei due fratelli che avevano partecipato attivamente all'accordo negoziale, come era evidente dalle varie clausole dell'atto che regolavano i diritti e gli obblighi delle parti in presenza di una vendita di cosa futura. Pertanto, il ricorso è stato rigettato ed è stata ritenuta legittima la richiesta, avanzata dall'Amministrazione finanziaria nei confronti dei due contribuenti, della maggiore imposta conseguente alla decadenza dell'agevolazione prima casa. 

 

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