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Compenso avvocato: le clausole di stile sull’accertamento del danno rendono la causa di valore indeterminabile

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 Con la recentissima ordinanza n. 4832 dello scorso 19 febbraio, la II sezione civile della Corte di Cassazione ha respinto la domanda di due avvocati che – nel chiedere la liquidazione degli onorari a loro spettanti per una causa di risarcimento dei danni – insistevano affinché il compenso fosse parametrato sulla somma dichiarata come valore della controversia al momento dell'iscrizione a ruolo anche se, nelle conclusioni, era stata chiesta la condanna per la somma maggiore o minore di quella indicata che fosse stata accertata nel corso del giudizio.

La Corte, respingendo il ricorso, ha specificato che, nel caso di specie, la causa doveva considerarsi di valore indeterminabile posto che "la formula con cui una parte domanda al giudice di condannare la controparte al pagamento di un importo indicato in una determinata somma o in quella somma maggiore o minore che risulterà di giustizia non può essere considerata, agli effetti dell'art. 112 c. p. c. , come meramente di stile, in quanto essa (come altre consimili), lungi dall'avere un contenuto meramente formale, manifesta la ragionevole incertezza della parte sull'ammontare del danno, effettivamente, da liquidarsi e ha lo scopo di consentire al giudice di provvedere alla giusta liquidazione del danno senza essere vincolato all'ammontare della somma determinata che venga indicata, in via esclusiva, nelle conclusioni specifiche".

Il caso sottoposto all'attenzione della Cassazione prende spunto dal ricorso presentato da due avvocati, i quali deducevano di aver prestato la propria assistenza legale a favore della Regione Calabria, in una causa di risarcimento danni da disastro ambientale: in tale giudizio, la richiesta risarcitoria era stata formulata per il complessivo importo di euro 879.114.225,77.

La Regione Calabria, nel liquidare gli onorari, applicava lo scaglione tariffario previsto per le cause di valore indeterminabile di particolare importanza, moltiplicando per quattro volte il valore complessivo degli stessi.

 I due legali adivano, ai sensi dell'art. 28 legge n. 794 del 1942, il Tribunale di Milano affinché fosse loro corrisposto il compenso dovuto che, secondo i due patrocinatori, doveva essere parametrato sul valore complessivo della controversia.

Il Tribunale di Milano riteneva corretta la liquidazione degli onorari parametrata sullo scaglione del tariffario previsto per le cause di valore indeterminabile di particolare importanza: nel caso di specie, infatti, non poteva ritenersi che il valore della causa fosse determinato o determinabile in quanto nel giudizio vertente sul disastro ambientale si erano formulate una serie di domande risarcitorie che, solo in minima parte avevano ad oggetto un danno patrimoniale quantificato in modo preciso, secondo concreti elementi di stima predefiniti; gli altri danni, invece, non erano quantificabili e, pertanto, si era richiesto al giudice di provvedere alla loro liquidazione a seguito di opportuna istruttoria o secondo criterio equitativo.

La Corte di Appello di Milano confermava l'ordinanza del Tribunale di Milano.

I legali, ricorrendo in Cassazione, impugnavano la decisione per violazione e falsa applicazione degli artt. 10 e 14 c.p.c.: secondo i ricorrenti, la sentenza impugnata aveva disatteso il valore della controversia – da determinarsi, ex artt. 10 e 14 c.p.c., con riferimento alla somma indicata dall'attore – quantificando erroneamente gli onorari in base al criterio previsto a carico della parte soccombente; così facendo si sarebbe fatta confusione tra la determinatezza del valore della causa con l'esattezza di quella determinazione, questione rimessa alla valutazione del giudice di merito.

 La Cassazione non condivide le doglianze dei ricorrenti.

Secondo gli Ermellini, infatti, il valore della controversia era indeterminato ab initio, avendo l'attore chiesto, a titolo di risarcimento, la somma maggiore o minore di quella indicata che fosse stata accertata nel corso del giudizio.

Sul punto, la Corte dà seguito all'orientamento secondo cui in tema di liquidazione dell'onorario spettante all'avvocato, la determinazione del valore della causa, anche ai fini dell'individuazione dello scaglione tariffario applicabile, va effettuata a norma del codice di procedura civile, con la conseguenza che, in mancanza di concreti ed attendibili elementi per la stima precostituiti e disponibili fin dall'introduzione del giudizio, deve ritenersi di valore indeterminabile la domanda di risarcimento, nella quale gli elementi di valutazione del danno, del quale si chiede il ristoro, costituiscano l'oggetto, o uno degli oggetti, dell'accertamento e della quantificazione rimessi al giudice (Cass. n. 14586 del 2005).

Ciò premesso, la Cassazione specifica che la formula con cui una parte domanda al giudice di condannare la controparte al pagamento di un importo indicato in una determinata somma o in quella somma maggiore o minore che risulterà di giustizia non può essere considerata, agli effetti dell'art. 112 c. p. c. , come meramente di stile, in quanto essa (come altre consimili), lungi dall'avere un contenuto meramente formale, manifesta la ragionevole incertezza della parte sull'ammontare del danno, effettivamente, da liquidarsi e ha lo scopo di consentire al giudice di provvedere alla giusta liquidazione del danno senza essere vincolato all'ammontare della somma determinata che venga indicata, in via esclusiva, nelle conclusioni specifiche.

In ragione di tanto, il ricorso viene rigettato con condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese del giudizio di legittimità.

 

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