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Assegno divorzile, Cassazione: “Per la funzione assistenziale spetta anche alla moglie disoccupata”

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Con l'ordinanza n. 4494 depositata lo scorso 19 febbraio, la I sezione civile della Corte di Cassazione, chiamata a pronunciarsi sulla congruità dell'importo determinato dalla Corte territoriale in relazione ad un assegno divorzile, ha rigettato le richieste dell'ex marito secondo cui l'ex moglie, non essendosi attivata nella ricerca di una occupazione, non avesse mezzi inadeguati per vivere.

La Cassazione, tenuto conto della funzione assistenziale dell'assegno divorzile, ha valorizzato le effettive capacità reddituali e le risorse patrimoniali della richiedente, rilevando come la moglie avesse mezzi inadeguati per vivere, vieppiù perché non era stato dimostrato che avesse rifiutato occasioni di lavoro.

Nel caso sottoposto all'attenzione della Cassazione, il Tribunale di Caltanissetta pronunciava lo scioglimento del matrimonio di una coppia di coniugi, ponendo a carico dell'ex marito il pagamento di un assegno divorzile di 300 Euro mensili, in considerazione sia delle entrate economiche dell'uomo, operaio con reddito di Euro 1.400,00 mensili netti e proprietario di unico immobile acquistato prima del matrimonio, sia dello stato di disoccupazione dell'ex moglie.

La pronuncia veniva appellata dall'uomo, per ottenere la revoca dell'assegno divorzile, in ragione del fatto che la moglie non si era attivata nella ricerca di una occupazione lavorativa. 

La Corte di Appello di Caltanissetta confermava la sentenza impugnata sul presupposto che il tenore di vita goduto in costanza di matrimonio si poteva desumere dal reddito percepito dal marito, dal momento che la moglie non aveva mai lavorato e non era stato dimostrato un rifiuto della donna a cercare un lavoro.

Ricorrendo in Cassazione, l'uomo censurava la decisione della Corte di merito per violazione e falsa applicazione dell'art.5 della legge 898/1970, in relazione ai criteri per la determinazione dell'assegno di divorzio.

A tal fine si doleva per non aver la Corte d'appello vagliato adeguatamente se la coniuge avesse mezzi inadeguati per vivere e se si trovasse nell'impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive, in rapporto alla sua capacità di trovare un lavoro.

La Cassazione non condivide le difese formulate dal ricorrente.

I Supremi Giudici ricordano, infatti, che con il noto arresto delle Sezioni Unite del 2018 (pronuncia n. 18287/2018), si è attribuito all'assegno divorzile una funzione assistenziale ed in pari misura compensativa e perequativa, che discende direttamente dalla declinazione del principio costituzionale di solidarietà, al fine di consentire al coniuge richiedente il raggiungimento in concreto di un livello reddituale adeguato al contributo fornito nella realizzazione della vita familiare, in particolare tenendo conto delle aspettative professionali sacrificate.

In particolare, la Cassazione ha ribadito che il riconoscimento dell'assegno di divorzio in favore dell'ex coniuge richiede l'accertamento dell'inadeguatezza dei mezzi dell'ex coniuge istante, e dell'impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive: il giudizio deve essere espresso alla luce di una valutazione comparativa delle condizioni economico-patrimoniali delle parti, in considerazione del contributo fornito dal richiedente alla conduzione della vita familiare ed alla formazione del patrimonio comune, nonché di quello personale di ciascuno degli ex coniugi, in relazione alla durata del matrimonio ed all'età dell'avente diritto.

Con specifico riferimento al caso di specie, gli Ermellini evidenziano come la sentenza impugnata – uniformandosi all'ultimo arresto delle Sezioni Unite - ha tenuto conto della funzione assistenziale dell'assegno divorzile, valorizzando le effettive capacità reddituali e le risorse patrimoniali della richiedente. Difatti, i giudici di merito, oltre a evidenziare una disparità di risorse economiche tra i coniugi, hanno rilevato come la moglie avesse mezzi inadeguati per vivere e non risultava dimostrato che avesse rifiutato occasioni di lavoro.

Compiute queste precisazioni, la Cassazione rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione. 

 

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