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L’evasione italiana

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L'occasione per tornare a parlare di evasione ci è data dalle analisi della relazione della Corte dei Conti sul giudizio di parificazione del rendiconto dello Stato. I freddi numeri snocciolati dalla magistratura contabile mettono, ogni anno, il dito nella piaga del mancato incasso delle imposte dichiarate, ma non pagate.

Andiamo con ordine: la Corte dei Conti attesta che le entrate tributarie comunque crescono, ma ad alimentarle è quasi solo chi paga le tasse in modo spontaneo, in una platea che cresce anche grazie alle azioni di compliance messe in atto negli ultimi anni dal fisco sempre più "amico". Viceversa, quando è l'Agenzia delle Entrate che prova a richiamare alla cassa chi non si presenta da solo, i risultati sono mediocri e, chi non paga ha forti probabilità di evitare le verifiche; inoltre, quando il contribuente vede materializzarsi un accertamento sceglie di non rispondere alle richieste del Fisco preferendo vedersi recapitare un'iscrizione a ruolo nella velata speranza di vedersela rottamare; infine quando arriva la rottamazione, molti aderiscono, versano la prima rata e poi tornano a scomparire.

Non è solo la fuga dalle rate a trasformare le rottamazioni in un flop latente, ma anche l'aspettativa continua di successive rottamazioni alimentate dal periodico ricorso a norme del genere; il tutto fa crescere costantemente l'enorme magazzino dei residui della riscossione ormai salito oltre quota 1.200 miliardi. Il 40% di questi, però, sono di "difficile recuperabilità" già a prima vista per le condizioni soggettive del contribuente: 151,7 miliardi di euro sono dovuti da soggetti interessati da procedure concorsuali, 195 miliardi da persone decedute e imprese cessate, 136,5 miliardi da nullatenenti. In aggiunta, c'è un altro 8 per cento dei crediti - circa 100,4 miliardi di euro - per i quali i tentativi di riscossione sono congelati per effetto di specifici provvedimenti di sospensione delle attività di recupero. Restano poco più della metà dei crediti, circa 623 miliardi di euro.

La stragrande maggioranza di questi, 502,5 miliardi, si riferisce a contribuenti nei confronti dei quali l'agente della riscossione ha già svolto, in questi anni, azioni esecutive e/o cautelari. Se si tolgono le somme oggetto di rateizzazione, il magazzino residuo su cui le azioni di recupero possono presumibilmente essere maggiormente efficaci, si riduce a 101,7 miliardi di euro. Meno di un decimo del totale

Continuando ad analizzare i numeri snocciolati dalla Corte: il numero degli accertamenti, destinati a smascherare chi non dichiara, continuano il trend negativo: nel 2023 sono stati circa 175 mila, il 7,5% in meno del 2022, e nel confronto con il 2019 il contatore segna un calo verticale del 34,4%. I motivi sono da ricercare nella riduzione di personale verificatasi nel tempo, e negli ostacoli che continuano a impedire un pieno e completo utilizzo delle banche dati tributarie e, in particolare, di quelle relative alle fatture elettroniche e ai rapporti finanziari.

L'ultimo anno – 2023 - i controlli hanno riguardato il 4,3% dei contribuenti soggetti agli ISA - indici sintetici di affidabilità fiscale - , in un ventaglio che va dall'1,6% di soggetti controllati fra i negozi di alimentari e il 5,5% registrato nelle costruzioni. Ecco, i freddi numeri indicano che non sono esattamente preoccupanti per chi, fra un paio di mesi dovrà mettere anche questo fattore nell'analisi di costi e benefici connessi all'adesione al concordato, che promette l'esclusione biennale dalle verifiche in cambio però di aumenti di reddito imponibile spesso importanti.

Un buco strutturale che meriterebbe un serio, – non populista - e reale dibattito politico che individui soluzioni vere ed efficaci contemplando anche lo stralcio: si, la Politica con la P maiuscola deve avere l'autorevolezza per poter iniziare a discutere dello stralcio dei ruoli. Monitoreremo.

Meditate contribuenti, meditate. 

 

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