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Violazione dei canoni di ermeneutica contrattuale: come farla valere in Cassazione?

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Con l'ordinanza n. 35277/2024, la III sezione della Corte di Cassazione, pronunciandosi in tema di interpretazione dei contratti, ha fornito importanti chiarimenti su quando è possibile, nel giudizio innanzi alla Cassazione, far valere la violazione dei canoni legali di interpretazione contrattuale di cui agli artt. 1362 e seguenti c.c..

Si è difatti specificato che "il ricorrente per cassazione, al fine di  far valere la violazione dei canoni legali di interpretazione contrattuale di cui agli artt. 1362 e seguenti c.c., non solo deve fare esplicito riferimento alle regole legali di interpretazione, mediante specifica indicazione delle norme asseritamente violate ed ai principi in esse contenuti, ma è tenuto, altresì, a precisare in quale modo e con quali considerazioni il giudice del merito si sia discostato dai canoni legali assunti come violati o se lo stesso li abbia applicati sulla base di argomentazioni illogiche od insufficienti non potendo, invece, la censura risolversi nella mera contrapposizione dell'interpretazione del ricorrente e quella accolta nella sentenza impugnata".

Nel caso sottoposto all'attenzione della Cassazione, una società proponeva opposizione al decreto ingiuntivo con cui le era stato intimato il pagamento di Euro 127.020,30 in favore del Comune di Melilli, per un presunto consumo d'acqua.

L'opposizione veniva accolta dal Tribunale di Siracusa, il quale revocava il decreto ingiuntivo. 

La Corte d'Appello di Catania, in parziale riforma della sentenza impugnata, condannava la società al pagamento in favore del Comune di Melilli della somma di Euro 43.800,00, oltre spese giudiziali, ritenendo che la medesima società avesse riconosciuto il debito maturato nei cinque anni antecedenti il 18/09/2013 e che, pertanto, la somma dovuta dovesse essere correttamente quantificata in Euro 43.800,00.

Avverso la pronuncia, ricorreva in Cassazione la società censurando la sentenza della Corte d'Appello per avere erroneamente interpretato il contratto, ravvisando un'insussistente ricognizione di debito.

Secondo la ricorrente, la Corte aveva omesso di considerare che il presunto riconoscimento del debito era contenuto nell'atto processuale di opposizione a decreto ingiuntivo, sottoscritto dal solo difensore e, ad ogni modo, era contenuto nell'ambito di un ragionamento ipotetico, privo di intenzione ricognitiva; aggiungeva, inoltre, che il presunto riconoscimento del debito era stato espressamente contestato dalla medesima società anche in grado di appello, trovando risconto nelle deduzioni difensive svolte nell'atto di opposizione a decreto ingiuntivo. 

La Cassazione non condivide le doglianza sollevate dalla società ricorrente.

La Corte ricorda che l'accertamento della volontà delle parti in relazione al contenuto di un negozio giuridico si traduce in una indagine di fatto affidata al giudice di merito, sicché il ricorrente per cassazione, al fine di far valere la violazione dei canoni legali di interpretazione contrattuale di cui agli artt. 1362 e seguenti c.c., non solo deve fare esplicito riferimento alle regole legali di interpretazione, mediante specifica indicazione delle norme asseritamente violate ed ai principi in esse contenuti, ma è tenuto, altresì, a precisare in quale modo e con quali considerazioni il giudice del merito si sia discostato dai canoni legali assunti come violati o se lo stesso li abbia applicati sulla base di argomentazioni illogiche od insufficienti non potendo, invece, la censura risolversi nella mera contrapposizione dell'interpretazione del ricorrente e quella accolta nella sentenza impugnata.

In particolare, nel ribadire che non può trovare ingresso in sede di legittimità la critica della ricostruzione della volontà negoziale operata dal giudice di merito che si traduca esclusivamente nella prospettazione di una diversa valutazione degli stessi elementi di fatto già dallo stesso esaminati, gli Ermellini ribadiscono che in tema di interpretazione e qualificazione dei contratti, l'accertamento della volontà in relazione al contenuto del negozio si traduce in un'indagine di fatto affidata in via esclusiva al giudice di merito, che è incensurabile in sede di legittimità se non quando la motivazione sia così inadeguata da non consentire la ricostruzione dell'iter logico seguito dal giudice per attribuire all'atto negoziale un determinato contenuto o per violazione delle regole ermeneutiche stabilite dagli artt. 1362 e seguenti c.c..

Con specifico riferimento al caso di specie, gli Ermellini rilevano come la società ricorrente nulla abbia indicato e argomentato in ordine ai criteri legali d'interpretazione ex art. 1362 e seguenti c.c..

In conclusione, la Cassazione dichiara inammissibile il motivo di ricorso. 

 

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