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Open Arms, impugnando l'assoluzione di Salvini, la Procura ha esercitato un diritto

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Arriva in Cassazione il caso Open Arms. Non ci arriva per accanimento – come vorrebbero far credere il vicepremier Matteo Salvini e la presidente del Consiglio Giorgia Meloni – ma perchè è stato esercitato un diritto. Il ricorso della Procura di Palermo contro l'assoluzione dell'ex ministro dell'Interno è un atto perfettamente legittimo, tecnicamente fondato e costituzionalmente garantito. I magistrati del pubblico ministero hanno esercitato il loro potere – anzi, il loro dovere – di impugnare una sentenza perchè, a loro giudizio, si fonda su un'errata interpretazione delle norme di diritto, italiane e internazionali, che regolano i doveri dello Stato nel soccorso in mare.

Hanno scelto il ricorso per saltum, cioè direttamente in Cassazione, proprio perché la questione è tutta giuridica: non riguarda i fatti – che sono stati sostanzialmente riconosciuti – ma l'applicazione della legge. In particolare, la Procura contesta la ricostruzione secondo cui l'Italia non fosse tenuta ad assegnare un porto sicuro alla nave della ONG spagnola. A supporto, richiama la sentenza delle Sezioni Unite Civili della Corte di cassazione sul caso Diciotti, in cui si è affermata l'illegittimità del blocco dello sbarco, la violazione dell'art. 13 Cost. e delle norme internazionali che impongono il soccorso e la protezione della libertà personale. Siamo, quindi, davanti a una questione di diritto allo stato puro.

Eppure la reazione politica è stata violenta, scomposta, extragiuridica. Salvini grida al complotto, parla di "processo politico", rivendica il "diritto di difendere i confini" come se potesse farsi beffe delle norme costituzionali e sovranazionali. La premier Meloni lo sostiene apertamente, attaccando la legittimità dell'impugnazione, come se spettasse all'esecutivo valutare l'opportunità del ricorso di un ufficio giudiziario. Legibus soluti.

Ma è il ministro Nordio ad affondare il colpo più duro. Non solo critica il ricorso, ma invoca l'entrata in vigore di un divieto generalizzato di impugnazione contro le sentenze di assoluzione. È una proposta che contraddice la Costituzione, che garantisce il diritto all'impugnazione non limitandolo ad una sola delle parti in causa, e, soprattutto, che finge di ignorare il ruolo della Corte di Cassazione quale giudice di legittimità.

Ciò che preoccupa è, allora, l'incapacità di una parte della politica di accettare il ruolo del giudice. Ogni sentenza sfavorevole viene bollata come di parte, ogni impugnazione come una persecuzione, ogni magistrato che esercita il proprio ruolo è indicato come nemico del popolo. È una dinamica pericolosa, che scardina le fondamenta della Costituzione. I magistrati non sono infallibili, ma proprio per questo esistono i meccanismi di impugnazione. E nessuna funzione pubblica – neanche quella di un ministro – può diventare scudo contro la legalità. 

La Procura di Palermo ha posto una questione: quella della tutela della libertà personale dei migranti trattenuti per giorni a bordo di una nave soccorritrice in attesa di un porto che si voleva negare per scelte politiche. E ha chiesto alla Cassazione di dire l'ultima parola sul punto. Questo non è accanimento. È esercizio di legalità. Chi invece pretende che la legge non valga per sé – o per i propri alleati – tradisce l'essenza dello Stato di diritto. Ed ancora una volta, non possiamo non segnalare, con preoccupazione, il clima per cui chi osa indagare (o decide di impugnare una sentenza favorevole) venga subito additato come eversore. È esattamente questa la vera sovversione: quella contro il diritto, e lo Stato di diritto. 

 

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