Se questo sito ti piace, puoi dircelo così
Il ministro Carlo Nordio, a margine della votazione per l'elezione del consigliere laico del CSM, ha dichiarato di non essere poi così certo sull'esito del probabile referendum della prossima primavera sulla sua riforma di separazione delle carriere, ma che comunque, oltre a quello di Demos, altri recenti sondaggi risulterebbero più incoraggianti per il Governo. Il riferimento del ministro corre al sondaggio SWG pubblicato pochi giorni fa che, in effetti, sembra ad una prima lettura voler rispondere — o contraddire — i dati Demos-La Repubblica commentati qualche giorno fa in un mio editoriale su Reti di Giustizia. All'apparenza, le due indagini disegnano scenari opposti. Ma a un'analisi più attenta, la contraddizione svanisce: i due sondaggi parlano la stessa lingua, se si ha l'onestà di leggerli oltre i titoli. E il messaggio che ne emerge è chiaro: la riforma della giustizia voluta dal Governo spacca il Paese.
Il sondaggio SWG simula un referendum confermativo sulla riforma della separazione delle carriere. Risultato: il 44% voterebbe "Sì", il 21% "No", ben il 35% è indeciso o astenuto. A prima vista, un vantaggio netto per i favorevoli. Ma fermiamoci un attimo: una riforma sostenuta da tutto il centrodestra, da Azione, e in parte da Italia Viva, non riesce a superare il 50% netto dei consensi, nemmeno in un sondaggio senza quorum. E il dato più significativo è il 35% di incerti: un'enormità.
In confronto, il sondaggio Demos non chiedeva di votare "Sì" o "No", ma di esprimere un'opinione su una scala da 1 a 10. È quindi più adatto a misurare la convinzione, più che una adesione si potrebbe dire militante. E lì, come sappiamo, i contrari alla riforma (voto da 1 a 5) erano saliti al 52%, superando i favorevoli (48%).
Conclusione? Due strumenti diversi, ma un punto comune: la riforma è divisiva. Non ha convinto la maggioranza dell'elettorato. Ha creato polarizzazione. In termini politici, è un rischio per il Governo. Analizziamo ancor più a fondo i dati. SWG ci dice che l'82% di chi voterebbe "Sì" viene dalla maggioranza di governo, mentre solo il 23% appartiene all'opposizione. Un fenomeno simmetricamente inverso è dato registrare per chi dice di esprimersi per il "No". La riforma della giustizia, quindi, non genera consenso trasversale, ma si limita a replicare la linea di frattura tra governi e opposizioni. È proprio ciò che contestavo nel mio editoriale: una riforma così strutturale non può vivere di una maggioranza temporanea. Deve unire, non dividere. Poi, il dato più eloquente? Il 35% di indecisi. Ed è lì che la riforma si gioca la sua vera legittimità.
Ancor più interessante è la seconda parte del sondaggio SWG, che chiede agli intervistati quali effetti si aspettano dalla separazione delle carriere. I risultati parlano chiaro: solo il 29% crede che migliorerà l'imparzialità dei giudici, contro il 33% che pensa darà effetti "misti" e un 19% che prevede effetti negativi; sull'efficienza della giustizia, i "prevalentemente positivi" sono il 28%; sulla separazione tra politica e giustizia, appena il 27%; riguardo alla vita concreta dei cittadini), i positivi crollano al 18%, contro un 41% che prevede "nessun effetto".
Sono dati che confermano quanto già emerso nel sondaggio Demos: il favore alla riforma, quando c'è, è spesso più ideologico che sostanziale. Le aspettative concrete sono deboli, incerte, distribuite in modo molto frammentato. Insomma, la riforma non entusiasma, non convince, non rassicura. Ciò che emerge dai due sondaggi — e che il mio libro Divide et impera cerca di avvalorare — è che la separazione delle carriere non è una riforma di efficienza, ma di parte. È parte di una visione che oppone "la politica alla giustizia", "il popolo ai giudici", e usa il tema della separazione per indebolire l'autonomia del pubblico ministero, allineandolo sempre più al potere esecutivo. Non è un caso se il sostegno è massimo tra gli elettori della destra, e se le previsioni sugli effetti della riforma sono incerte o negative proprio nei settori più indipendenti.
Alla luce dei dati, non c'è contraddizione tra il sondaggio Demos e quello SWG. Entrambi rivelano lo stesso quadro: la società è divisa, e la divisione rispecchia quella esistente tra le forze politiche; la maggioranza dei cittadini non ha certezze sui benefici della riforma; una parte crescente dell'opinione pubblica è critica o incerta, e potrebbe mobilitarsi in futuro. Chi vuole battersi per il "No" al progetto Nordio-Meloni dovrebbe quindi partire da qui, perchè i margini ci sono, e il terreno appare addirittura in discesa. E proprio Nordio è stato il primo ad avvedersene.
Tutti gli articoli pubblicati in questo portale possono essere riprodotti, in tutto o in parte, solo a condizione che sia indicata la fonte e sia, in ogni caso, riprodotto il link dell'articolo.