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Intercettazioni telefoniche: le soluzioni prospettate nel corso dell’indagine conoscitiva svoltasi al Senato.

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Quella delle intercettazioni è una delle questioni sulla quale maggiormente si dibatte in ambito forense, non solo per le ovvie ripercussioni di tale mezzo di indagine sulla riservatezza delle persone, ma, soprattutto, per la lacunosità della normativa.

Proprio le intercettazioni hanno costituito l'oggetto dell'indagine conoscitiva svoltasi lo scorso giovedì 2 marzo, presso la seconda commissione Giustizia del Senato della Repubblica.

Nel corso della seduta si sono svolte le audizioni professor Roberto Borgo Borgoglio, professore associato di diritto penale presso l'università La Sapienza di Roma, del Procuratore della Repubblica di Palermo, del Procuratore della Repubblica di Catania e del Direttore Amministrativo della Società RPC S.p.A.

Durante il suo intervento, il prof. Borgoglio ha affrontato la tematica relativa al sequestro di dispositivi elettronici digitali (smartphones, pc, tablet, ecc.) individuando uno dei punti di debolezza del sistema, nella mancanza, nella normativa sulle intercettazioni, di una precisa disposizione che attribuisca una qualificazione giuridica precisa alle tracce ed ai contenuti delle comunicazioni che di solito rimangono fissate sulle chat o sulle e-mail.

Tale debolezza si riflette sul piano pratico, perché la mancanza di una norma specifica ha determinato il formarsi di una serie di orientamenti difformi riguardo al regime applicabile ai sequestri.

Quanto al regime applicabile, una parte della giurisprudenza, ritiene che le conversazioni conservate sui dispositivi digitali non possano essere assimilate alle intercettazioni telefoniche vere e proprie e che, una volta sequestrate, debbano essere trattate al pari dei documenti, con la conseguenza che le stesse possono essere acquisite sostanzialmente senza limiti, in qualsiasi procedimento penale.

L'altra corrente giurisprudenziale, ritiene, invece, che le conversazioni contenute nei dispositivi digitali non possano essere ricondotte né alla categoria delle intercettazioni – dovendosi intendere per intercettazione solamente la captazione di un contenuto in atto – né, tantomeno, al novero della corrispondenza, potendosi con tale termine indicare solo quella comunicazione che viene inviata al destinatario e "nel momento" in cui viene inviata ad un certo destinatario.

Proprio quest'ultima posizione giurisprudenziale crea dei problemi molto rilevanti perché, escludendo l'applicabilità delle garanzie previste sia per le intercettazioni che per il sequestro di corrispondenza, consente che, attraverso il sequestro di un dispositivo digitale, si possa arrivare a conoscere tutta la vita di una persona: non soltanto dati molto delicati, ma anche conversazioni che risalgono molto indietro nel tempo, al contrario di quello che accade per le intercettazioni, per le quali l'autorizzazione è concessa per un tempo determinato.

Un'altra fragilità del sistema, secondo quanto affermato nella sua relazione dal prof. Borgoglio, risiede nella diversa ampiezza di poteri che incontrano polizia giudiziaria e PM riguardo al sequestro dei dispositivi digitali: mentre il nostro codice di procedura penale, in riferimento al sequestro di questi dispositivi, contiene delle garanzie quando il sequestro avviene su iniziativa della polizia giudiziaria - perché dalla lettura combinata degli artt. 352 e 354 del codice di procedura canale emerge che, effettivamente, quando la polizia giudiziaria agisce su iniziativa, deve limitare il sequestro soltanto ai dati che sono effettivamente rilevanti per il procedimento penale in corso e per l'ipotesi specifica di reato che si sta profilando – quando, invece, agisce il pubblico ministero, le attuali disposizioni del codice di procedura penale (ed in particolare l'articolo 254 bis e l'articolo 260) consentono al PM di effettuare la copia forense dell'intero contenuto del dispositivo digitale e, quindi, assicurare al processo un'enorme mole di dati che possono riguardare l'intera vita di una persona sottoposta ad indagine (come avvenuto, ad esempio, nell'indagine sulla Fondazione Open).

Un recente orientamento della giurisprudenza, ha cercato di porre dei limiti all'attività del pubblico ministero, dicendo, innanzitutto, che il sequestro dei contenuti del dispositivo deve essere limitato a ciò che è pertinente al reato, nonché proporzionato rispetto alle necessità di indagini e specificando, altresì, che il superamento di tali limiti farebbe assumere al sequestro una finalità puramente esplorativa, cosa, ovviamente, impossibile, perché vietata dai principi di adeguatezza e di proporzione che governano il tema delle misure cautelari.

L'approdo interpretativo raggiunto da tale giurisprudenza è stato poi completato nel 2020 da un'altra importante sentenza della Cassazione, in cui i giudici di legittimità si sono espressi proprio in relazione ai poteri d'indagine del PM. 

In tale sentenza, la Corte di Cassazione afferma che la copia dei dispositivi digitali non deve essere utilizzata come "copia fine", ossia conservando la copia di tutti i dati contenuti nel dispositivo poi restituito all'indagato, bensì come "copia mezzo", ossia una copia che servirà per stabilire cosa all'interno del dispositivo è effettivamente pertinente all'indagine e deve essere oggetto di sequestro. 

Dunque, prosegue la corte, il sequestro dovrebbe svolgersi in tre fasi: la prima concernente il sequestro del dispositivo, la seconda avente ad oggetto la copia informatica del contenuto del dispositivo (che è copia mezzo), la terza in cui si esegue una ricerca di elementi che sono utili ed effettivamente pertinenti all'indagine, dopo di che anche la copia mezzo va restituita all'interessato, ciò allo specifico fine di evitare che i dati che rimangono nella disponibilità del pubblico ministero possano dar luogo, se esaminati dalla polizia giudiziaria o dallo stesso pubblico ministero, ad ulteriori indagini, attribuendo al sequestro stesso un contenuto meramente esplorativo.

Secondo quanto affermato dal prof. Borgoglio, tale ultimo orientamento dovrebbe ispirare una riforma legislativa diretta a colmare le lacune presenti nella normativa sulle intercettazioni.

In sintesi, lo strumento proposto dal relatore al fine di porre rimedio alle fragilità collegate alla mancanza, nella normativa sulle intercettazioni, di una precisa disposizione che attribuisca una qualificazione giuridica precisa alle tracce ed ai contenuti delle comunicazioni che di solito rimangono fissate sulle chat o sulle e-mail, è quello del contraddittorio, in fase di indagine, fra indagato e pubblico ministero, sotto il controllo del giudice, secondo il modello degli accertamenti tecnici irripetibili, ciò al fine di far acquisire al fascicolo processuale solo i dati pertinenti all'indagine e tutto il resto sia immediatamente restituito all'indagato in tempi ridotti. 

 

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