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In caso di separazione e/o divorzio l’alloggio di servizio di Forze dell’Ordine e militari può essere assegnato quale “casa coniugale” alla ex moglie?

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Il tema dell'assegnazione della casa familiare viene compiutamente disciplinato dall'art.337 sexies del codice civile il quale dispone che "il godimento della casa familiare è attribuito tenendo prioritariamente conto dell'interesse dei figli. Dell'assegnazione il giudice tiene conto nella regolazione dei rapporti economici tra i genitori, considerato l'eventuale titolo di proprietà…".

Nei casi di disgregazione del rapporto di coppia, sia a seguito di separazione, divorzio, cessazione della convivenza more uxorio, i figli vengono collocati solitamente presso uno dei genitori (normalmente, salvo casi particolari la madre) al quale il giudice attribuisce, conseguentemente, il diritto di rimanere ad abitare nell'immobile costituente la casa familiare, ancorché essa sia in comproprietà tra i genitori, ovvero di proprietà dell'altro genitore o di terzi. 

Nel caso in cui la casa familiare sia stata costituita dall'alloggio di servizio (nel caso di carabinieri, polizia, guardia di finanza, polizia penitenziaria, esercito, marina ed aereonautica) come si coordinano le esigenze familiari del dipendente con le ragioni di servizio per cui è stato assegnato l'immobile?

L'alloggio di servizio, assegnato al marito, può dunque essere assegnato alla moglie separata o divorziata con cui convivono figli minori?

Un argomento questo discusso nelle aule di Tribunale ove finora gli orientamenti seguiti sono stati diversi:

- assegnazione giudiziale dell'alloggio alla moglie presso cui venivano collocati i figli, cui seguiva poi una revoca della stessa da parte dell'amministrazione con invito al non avente diritto a rilasciare l'abitazione;

- in altri casi alcuni Tribunali hanno statuito che l'alloggio era destinato a soddisfare prioritariamente delle esigenze di servizio e pertanto veniva lasciato nella disponibilità del dipendente anche se i figli minori venivano collocati presso la madre. Questo l'orientamento seguito anche dal Tribunale di Reggio Calabria che recentemente in una causa patrocinata dalla sottoscritta a difesa di un militare ha rigettando le richieste della ex compagna di assegnazione dell'alloggio di servizio, (n.b. mancava il requisito della separazione e/o divorzio introdotta nel 2014, trattandosi di convivenza more uxorio), ritenendo che "l'assegnazione di un alloggio di servizio a un dipendente pubblico, non è funzionale al soddisfacimento del solo interesse abitativo, ma è sotteso anche all'esigenza della Pubblica Amministrazione, di agevolare lo svolgimento delle mansioni del lavoratore e di assicurarne una maggiore presenza e reperibilità".

Questo sulla base dell'orientamento ante 2014, secondo cui l'assegnazione di alloggi di servizio rispondeva agli scopi di funzionalità e sicurezza del servizio prestato, per cui erano irrilevanti le esigenze familiari del dipendente.

Gli alloggi di servizio si caratterizzavano per la circostanza che appartenendo allo stato o ad altri enti pubblici, formavano oggetto di concessione o di locazione nei confronti del personale destinatario nei limiti di tempo in cui lo stesso era in attività di servizio o prestava servizio nella sede in cui si trovava l'alloggio.

La causa tipica dell'assegnazione dell'alloggio di servizio non era quella di soddisfare un'esigenza abitativa del singolo dipendente, bensì quella di assicurare la piena efficienza nella prestazione del pubblico servizio attraverso una idonea collocazione funzionale del militare concessionario.

Tra i casi che potevano determinare la perdita del titolo alla concessione dell'alloggio di servizio vi era anche vi è l'allontanamento del militare dall'alloggio per essere stato questo assegnato alla consorte nell'àmbito di una separazione legale dei coniugi.

In caso di assegnazione dell'alloggio di servizio al coniuge del concessionario e di allontanamento di quest'ultimo, l'Amministrazione militare era chiamata a prendere atto dell'uso esclusivo dell'immobile da parte di soggetto non abilitato a permanervi in mancanza del titolare e, in ragione della conseguente violazione del vincolo di destinazione assegnato al bene, era tenuta ad assumere le conseguenti determinazioni, ovvero la rimozione (nelle forme – a seconda dei casi – della decadenza, della revoca o della declaratoria di cessazione) della concessione dell'alloggio e la conseguente intimazione agli occupanti di rilasciare l'immobile.

L'assegnazione dell'alloggio di servizio al coniuge del concessionario non poteva essere opposta all'Amministrazione militare, altrimenti un provvedimento giudiziale finirebbe con lo statuire su vincoli preordinati alla realizzazione di interessi pubblici specifici privando l'organo statale.

Era legittimo il provvedimento con cui l'Amministrazione, una volta verificato il venir meno dell'utilizzo da parte del concessionario dell'alloggio di servizio, dichiarava il dipendente decaduto dalla concessione, anche laddove l'alloggio costituiva casa coniugale e per questo affidato al coniuge non dipendentepresso il quale veniva collocato il figlio minore.

Nel 2014 il decreto del Ministero della Difesa del 7.05.2014 all'art. 4 ha previsto, in relazione agli alloggi di servizio, modificando il precedente assetto normativo, che "possono, inoltre, mantenere la conduzione iconiugisuperstiti nonlegalmenteseparatine'divorziati,nonchèiconiugi di personale militare e civile della Difesa titolare diconcessionedi alloggi di servizio che, alla data di entrata in vigore delpresente decreto, siano divorziati, ovvero legalmente separati. 

Di recente questa tematica è stata oggetto di recente pronuncia da parte del Tribunale amministrativo regionale, T.A.R. Lazio Roma Sez. I bis, il quale con sentenza 7 gennaio 2019, n. 148 ha statuito che anche l'alloggio demaniale può essere assegnato come casa familiare sulla base delle motivazioni di seguito enucleate.

IL CASO

Il ricorrente, tenente colonnello dell'Esercito, concessionario dell'alloggio di servizio, separando dalla moglie, in sede di udienza presidenziale, era stato autorizzato a "vivere separatamente" dalla moglie alla quale era stata assegnata "la casa familiare" costituita dall'alloggio di servizio, essendo presso la stessa collocate le due figlie, una minore e l'altra maggiorenne ma non economicamente autosufficiente. Il Tribunale attribuiva espressamente prevalenza alla funzione di "luogo di aggregazione della famiglia" dell'alloggio.

Nonostante tale provvedimento di assegnazione, a seguito di istanza della ex moglie di "vedersi riconoscere" il mantenimento della conduzione dell'alloggio, l'Amministrazione avviava il procedimento di decadenza della concessione ritenendo che non fosse ancora intervenuta la separazione definitiva.

Aveva infatti già rappresentato al dipendente la rientranza dell'alloggio di servizio nel patrimonio demaniale dello Stato, sottoposto - in quanto tale - al regime di cui all'art. 823 c.c..

Dichiarava pertanto il militare decaduto dalla concessione del su indicato alloggio di servizio rigettando le richieste della ex moglie ritenendo l'imprescindibilità della utilizzazione dello stesso alloggio quale abitazione del dipendente e dunque che l'allontanamento del ricorrente dall'alloggio non poteva che condurre alla decadenza della relativa concessione, trattandosi di un "allontanamento volontario"; infine riteneva l'amministrazione che la ex moglie era ritenuta carente dei requisiti prescritti per la permanenza nell'alloggio per mancata emissione, a tale data, di una sentenza di separazione personale dei coniugi o dell'omologazione di quella consensuale.

I provvedimenti emanati dall'Amministrazione vengono impugnati dal dipendente innanzi al Tribunale amministrativo regionale sulla base dei seguenti motivi.

In primis il ricorrente deduce la necessità della persistenza della destinazione dell'alloggio ad abitazione del nucleo familiare secondo il provvedimento immediatamente esecutivo emesso dal Tribunale, tanto più in ragione del rilievo che la separazione tra i coniugi non produce lo scioglimento del matrimonio e, in particolare, non determina il venire meno della coabitazione e dell'affectio coniugalis, e, dunque, dell'inequivoca sussistenza di esigenze di tutela della famiglia.

Ancora ritiene che la il decreto del Ministero della difesa non può aver escluso dai casi concreti rientranti nella norma, la specifica situazione in cui il giudice ordinario abbia autorizzato i coniugi a vivere separati.

Sotto il profilo dell' ECCESSO DI POTERE e CARENZA DI ISTRUTTORIA, eccepisce che l'Amministrazione ha pretermesso il fine pubblico all'interesse della prole minorenne e non economicamente autosufficiente a conservare la propria sede abitativa e, dunque, ha operato sulla base di un'istruttoria inadeguata e insufficiente.

Ha altresì eccepito che l'Amministrazione ha totalmente disatteso il DM del 7 maggio 2014.

LA DECISIONE

Il ricorso viene ritenuto fondato e, pertanto, va accolto.

Secondo l'orientamento pressoché consolidato della giurisprudenza del giudice ordinario, "l'alloggio assegnato in concessione .... è qualificabile come "casa familiare", in quanto viene ceduto, ancorché in correlazione con le prestazioni lavorative, al fine di soddisfare le esigenze abitative" non solo del dipendente ma anche dei componenti della sua famiglia, sicché - in caso di separazione e/o divorzio- tale "alloggio può ben essere attribuito al coniuge diverso dal concessionario, se affidatario della prole, ai sensi della L. 1 dicembre 1970, n. 898", seppure con l'ulteriore, non indifferente, precisazione che quest'ultimo - per effetto dell'assegnazione della casa familiare - subentra sì nel godimento del bene, con conseguentemente obbligo di pagare il corrispettivo per l'utilizzo dell'alloggio al concedente, ma "non nel rapporto concessorio, ormai cessato" (Cass. Civ., Sez. I, 8 marzo 2018, n. 5575).

Ricorda ancora il Tar adito che della questione ha avuto, peraltro, modo di occuparsi anche la Corte dei Conti, la quale - con la deliberazione n. 10 del 2015 della Sezione Centrale di Controllo sulla gestione delle Amministrazioni dello Stato - ha espressamente qualificato i soggetti contemplati all'art. 4 delD.M. del 7 maggio 2014 come "occupanti sine titulo protetti" in quanto "occupanti dell'immobile che possono mantenerne la conduzione pur avendo perso il titolo", ossia soggetti nei cui confronti non è possibile procedere al c.d. "recupero coattivo" (ricordando, tra l'altro, che il su indicato D.M. ha ampliato la "fascia degli utenti", includendovi, tra gli altri, i separati o divorziati).

Infine preso atto che il ricorrente non vive più nell'alloggio di servizio, peraltro assegnato alla moglie in esito ai provvedimenti del giudice civile, afferma che risulta, infatti, evidente che il bene della vita, sotteso all'impugnazione dal predetto proposta, si identifica con il mantenimento della conduzione dell'alloggio in capo alla moglie, in quanto affidataria della prole.

Ricorda infine il collegio della volontà, sottesa all'adozione del decreto del 2014, di ampliare le categorie di soggetti da tutelare alla luce dell'importanza sociale dell'impatto della disciplina sulle famiglie dei militari

Tanto è stato ritenuto sufficiente per l'accoglimento del ricorsoe, dunque, per l'annullamento dei provvedimenti impugnati, fatto - comunque - salvo il potere di vigilanza dell'Amministrazione resistente sulla persistenza della destinazione dell'immobile a casa familiare, a tutela della figlie, e, quindi, il potere della stessa Amministrazione di chiedere e ottenere il rilascio dell'immobile ove tale destinazione risulti non più sussistente, per il riespandersi dell'interesse pubblico alla corretta gestione degli immobili demaniali rispetto alle contrapposte esigenze di tutela della famiglia.

Avv. Daniela Bianco del Foro di Reggio Calabria 

 

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