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Imprese commerciali ed industriali sono obbligate a pagare la Tari anche se non utilizzano l’immobile?

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Riferimenti normativi: Art.1 L.n.147/2013

Focus: Le imprese commerciali ed industriali sono obbligate a pagare la Tari anche se non utilizzano l'immobile. È quanto ha stabilito la Corte di Cassazione con l'Ordinanza n.1130 del 28 aprile 2021.

Principi generali: La tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani, abbreviata in Tarsu, è stata introdotta nel nostro ordinamento dal D.Lgs. n. 507/1993. La Tarsu a decorrere dal 1°gennaio 2014 è stata sostituita dalla Tari che conserva taluni presupposti e modalità di determinazione della tassa soppressa, alla quale la legge rimanda per la determinazione del nuovo tributo. La tassa smaltimento rifiuti è una tassa annuale su base tariffaria istituita dai Comuni il cui presupposto impositivo è l'occupazione o la detenzione di locali, immobili o aree, a qualsiasi uso adibiti, esistenti nelle zone del territorio comunale in cui i servizi sono istituiti, suscettibili di produrre rifiuti urbani (art. 62 D.Lgs.n.507/1993; art.1, comma 641 L.n.147/2013). Sono escluse dal tributo le aree scoperte pertinenziali o accessorie non operative e le aree comuni condominiali (es. scale ed androni), ex art.1117 c.c., che non siano detenute o occupate in via esclusiva. Inoltre, il Comune, può deliberare con regolamento (di cui all'art.53 del D.Lgs.n.446/1997) riduzioni tariffarie ed esenzioni, ex art.1, commi 659 D.Lgs.n.147/2013 in caso di: a) abitazioni con unico occupante; b) abitazioni tenute a disposizione per uso stagionale od altro uso limitato e discontinuo; c) locali, diversi dalle abitazioni, ed aree scoperte adibiti ad uso stagionale o ad uso non continuativo, ma ricorrente; d) abitazioni occupate da soggetti che risiedano o abbiano la dimora, per più di sei mesi all'anno, all'estero; e) fabbricati rurali ad uso abitativo. E, ai sensi dell'art.1, comma 660 dello stesso decreto può deliberare ulteriori riduzioni ed esenzioni rispetto a quelle previste dalle lettere da a) a e) del comma 659. 

Nel caso esaminato dalla Corte Suprema, con Ordinanza n. 1130 del 28 aprile 2021, la Commissione tributaria regionale del Lazio accoglieva l'appello proposto da una società avverso la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Roma con la quale era stato rigettato il ricorso della contribuente avente ad oggetto un avviso di pagamento emesso dal Comune di Ciampino per saldo Tari anno 2015. La Commissione tributaria regionale aveva accolto l'appello della contribuente richiamando l'art. 8 del regolamento comunale in materia di Tari per il quale non sono assoggettate al tributo le aree e i locali inidonei a produrre rifiuti. Riteneva, quindi, che la società dovesse essere esonerata dal pagamento della Tari perché, nel caso di specie, la stessa aveva dimostrato, attraverso perizie giurate e relazione di un c.t.u., di non produrre rifiuti urbani o assimilati nel proprio stabilimento e, quindi, nulla era dovuto a titolo di Tari. Avverso tale sentenza il Comune proponeva ricorso per Cassazione cui resisteva con controricorso la contribuente. Il Comune evidenziava nel ricorso che i locali detenuti dalla società, in cui quest'ultima svolgeva attività di deposito e conservazione di documenti, sono soggetti a imposizione e sono esenti dal pagamento del tributo in casi circoscritti a quelle situazioni in cui non è possibile nemmeno potenzialmente produrre rifiuti. Contrariamente a quanto affermato dai giudici di seconde cure, secondo la tesi del ricorrente, nel caso di specie la tipologia del locale utilizzato dalla società non rientrava fra i casi di esenzione per inidoneità dei locali riportati all'art.8 del regolamento comunale in materia di Tari. In ogni caso tali situazioni devevano essere documentate e riportate nella dichiarazione di detenzione dei locali o in quelle di variazione.

Alla luce di quanto sopra esposto, la Corte Suprema ha accolto il ricorso del Comune ed ha cassato la sentenza di secondo grado in quanto ha ritenuto che la scelta della contribuente di non fare uso dei locali è stata una scelta soggettiva della società, come accertato dai consulenti, ed arbitraria non essendone stata data comunicazione all'amministrazione comunale con una preventiva domanda corredata dalla documentazione necessaria, così come previsto dalla normativa. Le deroghe e le riduzioni delle tariffe del tributo non operano in via automatica e il giudice tributario non può presumere che tale tributo non sia dovuto in base a situazioni di fatto, scaturenti dall'impossibilità dei locali o delle aree a produrre rifiuti per loro natura o per il particolare uso, ma deve esserne data prova dal contribuente. I giudici di legittimità hanno precisato che la Tari è un tributo dovuto, ai sensi della L.n. 147/2013, unicamente per il fatto oggettivo di occupare o detenere locali ed aree scoperte a qualsiasi uso adibiti, indipendentemente dal fatto che l'utente utilizzi il servizio, salva l'autorizzazione dell'ente impositore allo smaltimento dei rifiuti secondo altre modalità. Il versamento della Tari prescinde dallo sfruttamento o meno, da parte del singolo contribuente, dei servizi di raccolta e smaltimento in quanto il servizio di raccolta e smaltimento dei rifiuti è destinato a tutta la collettività e quindi, ad eccezione delle esenzioni, delle riduzioni e degli esoneri esplicitamente previsti, tutta la collettività è tenuta a contribuire economicamente in base alle proprie disponibilità. Pertanto, non può essere riconosciuta alcuna esenzione sul pagamento della Tari alle imprese commerciali e industriali che non utilizzano gli immobili detenuti a qualsiasi titolo solo per mere scelte soggettive.

 

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