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Immanuel Kant, l'antesignano dell'art. 11 della Carta: "Per la pace tra gli Stati"

Immanuel Kant, l'antesignano dell'art. 11 della Carta: "Per la pace  tra gli Stati"

 Immanuel Kant (Königsberg, 22 aprile1724Königsberg, 12 febbraio1804) è stato un filosofotedesco. Fu il più importante esponente dell'Illuminismo tedesco, anticipatore degli elementi fondanti della filosofia idealistica e della modernità. Autore di una vera e propria rivoluzione filosofica ("rivoluzione copernicana"), con lui la filosofia perde l'aspetto dogmaticometafisico tradizionale ed assume i caratteri di una ricerca critica sulle condizioni del conoscere.

Uno dei principali contributi della dottrina kantiana è l'aver superato la metafisica dogmatica operando una rivoluzione filosofica tramite una critica della ragione che determina le condizioni e i limiti delle capacità conoscitive dell'uomo nell'ambito teoretico, pratico ed estetico. Questi ambiti non sono scelti casualmente ma sono per Kant corrispondenti alle tre principali questioni cui la filosofia deve provare a rispondere, ovvero "Che cosa posso sapere?; Che cosa devo fare?; Che cosa ho diritto di sperare?"

La Critica della ragion pura, pubblicata in prima edizione nel 1781, e in una seconda edizione, fortemente rielaborata in alcune parti nel 1787, produsse la più importante e radicale critica della tradizione metafisica aristotelico-tomistica e una contro-argomentazione delle famose Cinque Vie di san Tommaso d'Aquino: la ragione che pretende di parlare dell'incondizionato (Dio), cade in contraddizione.

Come si desume dalle Prefazioni, alla fondazione di una critica la cui funzione dichiarata avrebbe dovuto essere quella di gettare le fondamenta di un nuovo edificio della metafisica, poi elaborata nelle due opere La metafisica dei costumi e Primi principi metafisici della scienza della natura, questi ultimi, in particolare, ripresi e approfonditi nell'Opus postumum. Nella Prefazione alla seconda edizione della Critica della ragion pura, Kant prospetta la novità della propria opera paragonando la sua rivoluzione nel modo di pensare alla rivoluzione compiuta da Copernico, Galilei, Keplero e Newton nell'astronomia. Nella definizione del metodo del filosofare, Kant introduce il concetto del trascendentale a cui si atterrà, con notevoli ampliamenti e modifiche, anche nelle due opere successive (Critica della ragion pratica e Critica del giudizio), come pure in altri lavori posteriori. La sua attività di pensatore riguarda prevalentemente la gnoseologia, l'etica, l'estetica, la biologia, e la teologia; ma anche la logica, l'antropologia, la metafisica, la geografia fisica, la pedagogia e la fisica, interessi che coltivò durante tutta la sua attività filosofica, come documenta l'edizione dei suoi scritti editi e inediti pubblicata a cura dell'Accademia delle Scienze di Berlino a partire dal 1901.

Proponiamo la lettura del "Primo e Secondo articolo definitivo per la pace perpetua".
I. Kant, Per la pace perpetua, parte II, art. I
Lo stato di pace tra gli uomini, che vivono gli uni a fianco degli altri, non è uno stato naturale (status naturalis), il quale è piuttosto uno stato di guerra, ossia anche se non sempre si ha uno scoppio delle ostilità, c'é però la loro costante minaccia. Esso deve dunque venire istituito; poiché l'assenza di ostilità non rappresenta alcuna garanzia di pace, e se questa garanzia non viene fornita a un vicino dall'altro (la qual cosa può avvenire solo in uno stato di legalità), il primo può trattare il secondo, a cui abbia richiesto questa garanzia, come un nemico.
La costituzione fondata in primo luogo secondo i princípi della libertà dei membri di una società (in quanto uomini), in secondo luogo secondo i princípi della dipendenza di tutti da un'unica legislazione comune (in quanto sudditi), in terzo luogo secondo la legge della loro eguaglianza (in quanto cittadini) - l'unica costituzione che deriva dall'idea del contratto originario, su cui deve fondarsi ogni legislazione giuridica di popolo - è quella repubblicana.
Questa costituzione dunque, per quanto riguarda il diritto, è in se stessa quella che sta originariamente alla base di ogni tipo di costituzione civile; e ora l'unica cosa da chiedersi è se sia anche l'unica che possa portare alla pace perpetua.
Ora, la costituzione repubblicana, oltre alla limpidezza della sua origine, il suo essere scaturita dalla pura sorgente dell'idea di diritto, ha anche la prospettiva di quell'esito desiderato, la pace perpetua. E la ragione è la seguente. Se (come deve per forza accadere in questa costituzione) per decidere "se debba esserci o no la guerra" viene richiesto il consenso dei cittadini, allora la cosa piú naturale è che, dovendo decidere di subire loro stessi tutte le calamità della guerra (il combattere di persona; il pagare di tasca propria i costi della guerra; il riparare con grande fatica le rovine che lascia dietro di sé e, per colmo delle sciagure, ancora un'altra che rende amara la pace, il caricarsi di debiti che, a causa delle prossime nuove guerre, non si estingueranno mai), rifletteranno molto prima di iniziare un gioco cosí brutto. Al contrario, invece, in una costituzione in cui il suddito non sia cittadino, quindi una costituzione non repubblicana, decidere la guerra è la cosa sulla quale si riflette di meno al mondo, poiché il sovrano non è il concittadino, ma il proprietario dello Stato, e la guerra non toccherà minimamente i suoi banchetti, le sue battute di caccia, i suoi castelli in campagna, le sue feste di corte e cosí via, e può allora dichiarare la guerra come una specie di gara di piacere per futili motivi e, per rispetto delle forme, affidare con indifferenza al corpo diplomatico, sempre pronto a questa bisogna, il compito di giustificarla.
(I. Kant, Per la pace perpetua, Feltrinelli, Milano 1991, pagg. 31-34)I. Kant, Per la pace perpetua, parte II, art. II
I popoli, in quanto Stati, possono essere giudicati come singoli uomini che si fanno reciprocamente ingiustizia già solo per il fatto di essere l'uno vicino all'altro nel loro stato di natura (ossia nell'indipendenza da leggi esterne); e ciascuno di essi può e deve esigere dall'altro di entrare con lui in una costituzione simile a quella civile, nella quale a ciascuno sia garantito il suo diritto. Questo costituirebbe una federazione di popoli, che tuttavia non dovrebbe essere uno Stato di popoli. Questa sarebbe una contraddizione perché ogni Stato ha dentro di sé il rapporto di un superiore (il legislatore) con un inferiore (che obbedisce, il popolo cioè); molti popoli però in uno Stato farebbero solamente un popolo che (dato che noi qui dobbiamo valutare i reciproci diritti dei popoli, in quanto devono costituire esattamente Stati differenti, e non fondersi in uno Stato), contraddice la premessa.
Ora, cosí come noi consideriamo con profondo disprezzo l'attaccamento dei selvaggi alla loro sfrenata libertà, che consiste nell'essere continuamente in lotta tra loro invece che sottoporsi a una costrizione legale stabilita da loro stessi, e a preferire quindi una libertà folle a una libertà ragionevole, e la giudichiamo come una rozzezza, una brutalità e una degradazione animalesca dell'umanità, verrebbe spontaneo di pensare che i popoli civili (ognuno dei quali riunito a sé in uno Stato) dovrebbero affrettarsi per uscire al piú presto possibile da una condizione cosí abbietta, al contrario invece ogni Stato
ripone la sua maestà (infatti la maestà popolare è un'espressione senza senso) proprio nel fatto di non essere soggetto a nessuna costrizione legale, e lo splendore del suo capo supremo sta nel fatto che, senza che egli si esponga a nessun pericolo, sotto il suo comando stanno molte migliaia di uomini che sono costretti a sacrificare la loro vita per una cosa che non li riguarda, e la differenza tra i selvaggi dell'Europa e quelli americani consiste principalmente in questo: in America molte tribú sono state interamente divorate dai loro nemici, gli europei invece sanno utilizzare meglio i loro sconfitti che mangiarli, e preferiscono accrescere attraverso di loro il numero dei loro sudditi, e quindi anche la quantità degli strumenti da utilizzare per guerra ancora piú grandi […].

D'altra parte, per gli Stati non può valere secondo il diritto internazionale proprio ciò che vale secondo il diritto naturale per gli uomini che sono nello stato della mancanza di leggi, cioè "il dovere di uscire da questo stato" (poiché essi come Stati hanno già al loro interno una costituzione legale e quindi sfuggono alla costrizione degli altri Stati che secondo le loro idee del diritto volessero portarli sotto una costituzione giuridica allargata); nondimeno la ragione, dall'alto del trono del supremo potere che dà le leggi morali, condanna assolutamente la guerra come procedimento giuridico e fa invece dello stato di pace un dovere immediato, che però senza un patto reciproco tra gli Stati non può essere fondato o garantito: cosí deve necessariamente esserci una federazione di tipo particolare, che si può chiamare federazione di pace (foedus pacificum), che si differenzierebbe dal trattato di pace (pactum pacis) per il fatto che questo cerca di porre fine semplicemente a una guerra, quella invece a tutte le guerre per sempre. Questa federazione non si propone la costruzione di una potenza politica, ma semplicemente la conservazione e la garanzia della libertà di uno Stato preso a sé e contemporaneamente degli altri Stati federati, senza che questi si sottomettano (come gli individui nello stato di natura) a leggi pubbliche e alla costrizione da esse esercitata. Non è cosa impossibile immaginarci la realizzabilità (la realtà oggettiva) di questa idea di federazione, che si deve estendere progressivamente a tutti gli Stati e che conduce cosí alla pace perpetua.

I. Kant, Per la pace perpetua, Feltrinelli, Milano 1991, pagg. 37-41

 

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