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I guadagni delle vendite su piattaforme di commercio on line sono tassabili?

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Riferimenti normativi: Dac7 (direttiva Ue 2021/514) – D.Lgs.n.32/2023

Focus: Il ricorso sempre più frequente a piattaforme e-commerce per la vendita on line di beni, quali Vinted, eBay, Subito.it ,Wallapop e altre, ha incentivato i controlli da parte dell'Agenzia delle Entrate per individuare i casi in cui si nascondono delle vere e proprie attività commerciali che utilizzano le piattaforme per evadere il fisco.

Principi generali: Il decreto legislativo n. 32 del 1° marzo 2023 ha recepito la direttiva Dac7 (direttiva UE 2021/514 del Consiglio del 22 marzo 2021) che mira a contrastare il fenomeno dell'evasione fiscale. Per questo il legislatore europeo ha deciso che sopra una certa soglia le vendite devono essere segnalate all'Amministrazione finanziaria. La regola generale alla base della normativa europea prevede uno scambio automatico di informazioni sulle vendite, attraverso piattaforme come Vinted o eBay, da parte dei gestori delle piattaforme stesse. Le informazioni riguardano non solo la vendita di beni al fine di percepire un corrispettivo ma anche le attività di locazione di beni immobili, le prestazioni di servizi personali ed i noleggi di qualsiasi mezzo di trasporto. La direttiva si applica ai venditori residenti in Italia o in un altro Stato membro dell'Unione europea o che forniscono servizi di locazione di beni immobili situati in Italia o in un altro Stato membro. 

Le norme della direttiva non si applicano a chiunque proceda con operazioni di vendita online ma soltanto a chi, in un anno solare,superi i duemila euro di guadagno tramite vari scambi, oppure chi arrivi avendere oltre 30 articoli. Limiti questi che sono stati introdotti essenzialmente per distinguere chi procede con attività di vendita di beni usati una tantum, cioè senza un vero e proprio scopo di lucro, da chi lo fa in maniera strutturata come fonte di sostentamento. Se le operazioni si configurano come abituali, il venditore potrebbe essere tenuto ad aprire una specifica partita IVA e quindi emettere fattura a ogni transazione e pagare le tasse, inserendo i guadagni in dichiarazione dei redditi, altrimenti scattano lesanzioni. Pertanto, come delineato nella direttiva Dac7, le piattaforme di vendita o marketplace hanno l'obbligo di comunicare alle amministrazioni fiscali dello Stato di riferimento le informazioni fornite dagli utenti, attraverso un modulo precompilato del sito di dette piattaforme, sugli incassi conseguiti se questi superano in un anno solare i limiti stabiliti dalla direttiva Dac7 affinché siano effettuati i controlli dell'Agenzia delle Entrate per i redditi omessi.

Il caso: Un contribuente ha venduto 1.6000 paia di scarpe in due anni su un portale di vendita on line suscitando in tal modo sospetti sull'occasionalità o meno delle proprie vendite. Da ciò è scaturito il controllo da parte dell'Agenzia delle Entrate e, sulla scorta delle verifiche condotte anche sui conti correnti del contribuente per movimentazioni bancarie non giustificate, venivano accertati induttivamente, ex art. 39, comma 2, del D.P.R. n. 600 del 1973, redditi di impresa. A differenza della Commissione tributaria provinciale che aveva accolto la richiesta del contribuente di annullamento dell'accertamento, la Commissione Tributaria Regionale ha accolto l'appello principale presentato dall'Amministrazione finanziaria la quale ha sostenuto che i redditi accertati e non dichiarati dal contribuente dovevano essere considerati redditi d'impresa e non redditi diversi, come invece ritenuto dai giudici di primo grado, considerato l'elevato numero delle transazioni commerciali effettuate in più anni di imposta che evidenziavano l'abitualità e non l'occasionalità dell'attività del contribuente.

Quest'ultimo ha impugnato la sentenza della Commissione tributaria di secondo grado dinanzi alla Corte di Cassazione che si è pronunciata con la sentenza n.7552/2025 del 21.03.2025. Tra i vari motivi di ricorso il contribuente ha sostenuto che gli atti amministrativi non riportavano le informazioni indispensabili per individuare l'attività svolta dal medesimo e non descrivevano i requisiti di professionalità ed abitualità occorrenti per tassare come "reddito di impresa" le presunte vendite virtuali realizzate dallo stesso sul sito online eBay. La Corte di Cassazione ha ritenuto tale motivo infondato, precisando che la mancata allegazione all'avviso accertamento del tabulato, acquisito dall'Amministrazione finanziaria dalla società titolare del portale di vendite on-line, non inficia in alcun modo la motivazione dello stesso nella quale è stata riconosciuta l'attività di impresa del contribuente per il "significativo numero di transazioni" effettuate nel corso degli anni, oggetto di accertamento, in modo abituale e continuativo. La Corte Suprema ha respinto, pertanto, la tesi del contribuente secondo cui, mancando una organizzazione d'impresa, le vendite avrebbero dovuto generare redditi diversi. La stessa ha ribadito quanto precisato dai giudici di appello, conformandosi all'orientamento in materia (Cassazione n. 6874 del 2023), che l'abitualità e la continuità delle vendite online sono di per sé sufficienti a configurare un'attività di impresa commerciale anche in assenza di partita IVA, indipendentemente dall'assetto organizzativo scelto. Tale requisito, indispensabile per il diritto civile, non è indispensabile per quello tributario, ai fini del quale è sufficiente la "professionalità abituale" dell'attività economica, anche senza l'esclusività della stessa (artt. 55 T.U.I.R. e 4 D.P.R. 633/1972). 

 

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