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L'attribuzione a Giovanni Falcone di una posizione favorevole alla separazione delle carriere è un'operazione retorica sempre più frequente nel dibattito politico, in particolare da parte dei sostenitori del disegno di legge costituzionale attualmente all'esame del Parlamento. Tale attribuzione, tuttavia, risulta del tutto infondata, alla luce delle testimonianze univoche di quanti con Falcone hanno condiviso scelte professionali e ideali istituzionali, e finisce per rappresentare una forma di strumentalizzazione postuma. E attenzione: non solo si tratta di un'anacronistica forzatura, ma anche di un'operazione che altera il contesto storico e istituzionale delle riflessioni del giudice palermitano.
Nel volume "Divide et impera" a mia firma che uscirà in libreria nelle prossime settimane, darò conto, anche grazie alla testimonianza del Presidente Alfredo Morvillo, vicinissimo a Falcone in quanto fratello di Francesca, di questo falso storico. Non anticipo nulla, ma desidero adesso soffermarmi su altre opinioni. Parto con quelle espresse da Pietro Grasso, che con Falcone condivise una lunga esperienza professionale e umana, ricorda come il magistrato ritenesse centrale la specializzazione del pubblico ministero alla luce del nuovo codice di rito, senza però affrontare il problema dell'assetto istituzionale del pm, che riteneva non ancora giunto a maturazione politica. Grasso sottolinea altresì come Falcone parlasse di "specificità delle funzioni" e di "alta professionalità", e di come l'essenza della questione fosse dare slancio e incisività all'azione penale del pm, garantendo però l'indipendenza e l'autonomia di tale organo.
Nel volume "Loro dicono, noi diciamo", Armando Spataro – che con Gustavo Zagrebelsky e Francesco Pallante ha dedicato pagine rigorose a smontare le falsificazioni più ricorrenti – chiarisce che le frasi talvolta evocate in favore della separazione delle carriere sono in realtà estrapolazioni scorrette da un intervento del 1989, in cui Falcone analizzava le implicazioni del nuovo codice. Secondo Spataro, Falcone non stava prendendo posizione, ma aveva voluto porre sul tappeto il funzionamento della giustizia nell'assetto che il nuovo codice aveva riservato al pm.
La conferma più lampante dell'orientamento contrario alla separazione delle carriere si rinviene, del resto, nella scelta professionale di Falcone, che in più occasioni passò dalle funzioni giudicanti a quelle requirenti e viceversa, ritenendo – come ricorda anche Marcelle Padovani – che tale interscambiabilità costituisse "un elemento di crescita".
In definitiva, attribuire a Giovanni Falcone la paternità di una riforma che egli non propose, non sostenne e non condivise, significa trarre in inganno l'opinione pubblica, infangare il dibattito istituzionale e ridurre la memoria di un servitore dello Stato a un simulacro utile per finalità ideologiche. È un'operazione doppiamente grave: sul piano storico, perché falsifica i fatti; su quello morale, perché sfrutta il sacrificio di un uomo giusto per obiettivi che egli, con ogni probabilità, avrebbe rigettato.
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